Il Giubileo ha una storia secolare, un significato che va ben oltre i riti cristallizzatisi nel tempo e origini ben radicate non solo nelle tradizioni liturgiche, ma soprattutto nella ricerca costante di spiritualità e di contatto con il divino. Da sempre, infatti, l’uomo ha bisogno di percepire la presenza di un potere più grande della vita stessa, che riesca a guidarlo, a dare un senso alle fasi di un viaggio straordinario che inizia con la nascita e termina con la morte. Ciò che c’è prima della venuta al mondo di ciascuno di noi e dopo ogni inevitabile dipartita, ogni nostra scelta o errore mentre siamo vivi fa parte di un mistero che tutti, prima o poi, consapevolmente o meno, vorremmo essere in grado di svelare e comprendere a fondo. La religione nasce, dunque, anche dal bisogno umano di non sentirsi solo e di dare un senso a ciò che appare inspiegabile. In tal senso il Giubileo, per la Chiesa Cattolica, rappresenta un lungo momento di connessione con il divino, di esplorazione della parte di noi che, istintivamente, sente, o ha necessità di sentire, che l’esistenza non può essere solo una mera sequenza di giorni, una storia la cui fine è già scritta. Perciò l’Anno Santo può diventare, perché no, un momento di riflessione anche per chi ha una fede diversa da quella cristiana, per chi ha scelto di non credere, oppure per quelli che si affidano solo al destino, o magari per quanti non ripongono alcuna fiducia nel fato. Se ci pensiamo, tutto ciò non rappresenta un paradosso, almeno per le menti più aperte: il Giubileo, infatti, non è una semplice “festa” religiosa, né una celebrazione specifica: almeno nel suo significato più profondo, è una sorta di pausa per guardarsi dentro. Certo, per la Chiesa Cattolica ha rituali ben definiti e, come vedremo tra poco, scopi altrettanto precisi, ma ciò non toglie che ognuno di noi possa interpretare i valori che sottendono all’Anno Santo, cosa ben lontana da conversioni e proselitismo, soprattutto in virtù del periodo storico in cui viviamo. Prima di tornare indietro nel tempo, ricordiamo l’attuale Giubileo straordinario, iniziato ufficialmente lo scorso 8 dicembre, dedicato alla misericordia e al ricordo del Concilio Vaticano II (1962 e il 1965), il quale diede alla Chiesa il “volto” che noi conosciamo oggi e i cui lavori si chiusero proprio l’8 dicembre del ’65. Papa Francesco ha voluto che i mesi a venire siano consacrati anche ai valori del coraggio e della forza d’animo nonostante le difficoltà e, cosa importantissima, al sentimento della gioia per l’imminente Natale, poiché quest’ultimo rinnova la speranza proprio quando non vediamo altro che la rassegnazione. Questi temi sono universali e, pertanto, non vi è bisogno di una fede particolare per fare riflessioni, basta una mente in grado di guardare il mondo con imparzialità.
Cos’è, quindi, il Giubileo? Ecco il suo significato religioso
Dal punto di vista strettamente religioso, il Giubileo è un anno dedicato a un radicale esame di coscienza che consente a ogni credente cattolico di pentirsi per ogni peccato commesso e ottenere, così, la remissione dei peccati. Questo in linea teorica; vedremo che nella Storia la questione pentimento/perdono ha avuto diverse “interpretazioni”. Il Giubileo come lo conosciamo oggi deriva dal Giubileo ebraico. Il termine d’origine, Jobel, indicava l’ariete, poi, per estensione, il corno dell’animale, fino a prendere il significato di tromba (fatta con il corno dell’ariete) che preannunciava l’inizio di questo anno santo. Le Sacre Scritture ce ne parlano in modo molto chiaro, stabilendo il tipo di ricorrenza, il significato e i riti da rispettare: “Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni…Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel Paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo… Non farete né semina né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate…potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi. In quest’anno del giubileo ciascuno tornerà in possesso del suo”. (Levitico, 25, 8; 10; 11-13). Queste parole fanno parte dell’insegnamento impartito da Dio a Mosè sul Monte Sinai. Notiamo subito la particolare simbologia ebraica legata al numero sette (solo su questa potremmo discorrere per ore) e, quindi, allo shabbat, il sabato. Leggiamo di nuovo nel Levitico: “Il Signore disse ancora a Mosè sul Monte Sinai: “Parla agli Israeliti e riferisci loro: quando entrerete nel paese che io vi do, la terra dovrà avere il suo sabato consacrato al Signore. Per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra, un sabato in onore del Signore; non seminerai il tuo campo e non poterai la tua vigna…”. Il Giubileo ebraico, dunque, era un momento di riposo per l’uomo e la terra, un particolare momento per “rigenerarsi”, oltre che per ricordare la sovranità di Dio su tutte le cose. Questo è l’aspetto prettamente religioso. Sul piano della convivenza tra gli uomini, l’anno sabbatico doveva tradursi nel perdono e nella pace. Per questo motivo gli schiavi dovevano essere liberati, i debiti cancellati e le terre restituite ai legittimi proprietari. Era un modo per iniziare di nuovo, per ridare l’ordine perduto all’esistenza. Come abbiamo visto il Giubileo ebraico si basa su alcuni concetti chiave: il senso della giustizia, il valore della terra che appartiene al Signore e non all’uomo, il perdono necessario al progresso umano, spirituale e, in seconda battuta, materiale della società intesa come “rete” che unisce gli uomini, li vincola l’uno all’altro al fine della realizzazione del benessere di tutti. Potremmo dire che l’anno sabbatico sia una specie di anticipazione, di “prova generale” (se mi si passa la terminologia poco ortodossa) della futura era messianica, in cui avverrà la definitiva restaurazione della pace e dell’uguaglianza tra gli uomini. Questi temi sono stati reinterpretati dal Cristianesimo e Gesù è venuto al mondo per “promulgare l’anno di misericordia del Signore” (Isaia, 61, 2). Infatti il Cristo, trovandosi nella sinagoga di Nazareth, lesse proprio il brano suddetto tratto dal Libro di Isaia, applicando a se stesso e alla sua predicazione il senso ultimo delle parole di questo Profeta: “Gesù…si recò a Nazareth…ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo, trovò il passo dove era scritto: lo Spirito del Signore; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Luca 4, 14-19).
La storia del Giubileo e il Cattolicesimo
Il Giubileo può essere ordinario o straordinario; nel primo caso c’è una cadenza fissa, nel secondo l’Anno Santo può essere promulgato per ricordare un evento specifico o sottolineare un momento storico di grande impatto sul presente e il futuro degli uomini (abbiamo già parlato della natura straordinaria del Giubileo della misericordia voluto da Papa Francesco; l’ultimo Giubileo straordinario prima di questo, invece, lo ufficializzò Papa Giovanni Paolo II nel 2000). Questa fondamentale tradizione, però, nacque alla Vigilia di Natale del 1299, quando moltissimi pellegrini si recarono fino alla Basilica di San Pietro per ottenere “l’indulgenza dei Cent’anni” in occasione dell’arrivo del nuovo secolo. Questo episodio colpì molto Bonifacio VIII (1230-1303, eletto nel 1294), il quale non conosceva questa tradizione dell’indulgenza plenaria e, in effetti, non vi erano fonti scritte al riguardo, anzi, si trattava per lo più di leggende. A quanto pare, infatti, l’unica testimonianza in merito fu quella di un signore molto anziano, che aveva superato da un po’ i cento anni e che ricordava di aver ottenuto questa particolare indulgenza nel 1200, sotto Papa Innocenzo III (1161-1216, eletto nel 1198). Le sue parole, ascoltate proprio da Papa Bonifacio VIII, rimangono custodite nell’opera dedicata al Giubileo del 1300, “Liber de centesimo sive Jubileo” del cardinale Jacopo Caetani degli Stefaneschi (1270-1343), il quale fu anche poeta, scrittore, esperto di diritto, visse e operò accanto a Celestino V, il già citato Bonifacio e morì ad Avignone. Il 22 febbraio 1300 Bonifacio VIII ufficializzò l’inizio del primo Anno Santo della Storia con la Bolla “Antiquorum habet fida relatio”; per poter ottenere l’indulgenza plenaria i romani avrebbero dovuto recarsi per trenta volte, durante tutto il periodo consacrato, nelle Basiliche di San Pietro e di San Paolo, mentre i pellegrini non romani avrebbero dovuto recarvisi per quindici volte. Quanti non avessero potuto completare il pellegrinaggio per gravi imprevisti o per sopraggiunta morte durante il viaggio, avrebbero comunque ricevuto l’indulgenza plenaria. La Bolla ufficializzava anche la precisa cadenza con cui svolgere il Giubileo, ovvero ogni cento anni. Il predecessore di Bonifacio VIII, Celestino V (abruzzese, 1209-1296, eletto ad agosto 1294 rinunciò alla carica nel dicembre dello stesso anno), fu, però, il primo Papa che gettò le basi per la tradizione dell’Anno giubilare. Bonifacio VIII ebbe l’indiscusso merito di avviare, dal punto di vista storico e religioso, la celebrazione, pur dovendosi basare su eventi fortuiti, ovvero lo spostamento di massa dei fedeli nel 1299 e le parole di un ultracentenario. Due elementi, questi, benché fondamentali, non in grado di rendere la completezza della storia e della liturgia dell’Anno Santo come lo conosciamo oggi. Si trattò, insomma, di avvenimenti, cause concatenate che, in qualche modo, gettarono i semi per la nascita ufficiale del Giubileo Universale della Chiesa Cattolica, ma se davvero vogliamo ricostruire il puzzle di questa affascinante vicenda, dobbiamo tornare indietro nel tempo di qualche altro anno, esattamente al 29 settembre 1294. Proprio quel giorno Papa Celestino V, promulgò la famosa Bolla del Perdono, “Inter sanctorum solemnia”, emessa il 29 settembre 1294. Questo prezioso documento stabilisce che chiunque, dopo la confessione, si rechi nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila dal 28 al 29 agosto, otterrà l’indulgenza plenaria. Non possiamo sapere, purtroppo, se Celestino V promulgò questa Bolla pensando proprio alla leggendaria Indulgenza dei Cento Anni, se ne avesse sentito parlare, da chi e come.Di fatto, però, questo precedente fu la vera matrice della celebrazione, rispettata ancora oggi a L’Aquila, della Perdonanza e anche dello stesso Giubileo. Durante il rituale la Bolla del Perdono, custodita alla Torre Civica di Palazzo Margherita (L’Aquila) è protagonista assoluta di un corteo che è una vera e propria rivisitazione storica quattrocentesca. Inoltre notiamo che già il contenuto del documento stabilisce che l’indulgenza plenaria si ottiene solo con un pellegrinaggio svolto in un momento e in un luogo precisi (di più: la Basilica di Santa Maria di Collemaggio ha il primato della più antica Porta Santa del mondo).
Il 1350 fu un altro anno da non dimenticare nella storia del Giubileo: Papa Clemente VI (1291-1352, eletto nel 1342), infatti, stabilì che la cadenza per la celebrazione venisse ridotta da cento a cinquanta anni, in maniera da ricreare una maggiore “affinità religiosa” con il Giubileo ebraico. Inoltre Clemente VI, per concretizzare questo epocale cambiamento, indisse un Giubileo proprio nel 1350 con la Bolla “Unigenitus Dei Filius”. A dire il vero non si trattò dell’unico cambiamento di questo tipo: Urbano VI (1318-1389, eletto nel 1378) ridusse l’intervallo a trentatré anni, in ricordo della durata della vita di Gesù, mentre i Papi Niccolò V (1397-1455, eletto nel 1447) e Paolo II (1417-1471 eletto nel 1464) ritennero più opportuna la cadenza di venticinque anni (ufficializzata da Paolo II), la quale verrà mantenuta, seppur non in maniera costante e non da tutti i Pontefici (senza contare i Giubilei straordinari). Tra i Giubilei straordinari possiamo ricordare quello indetto da Giovanni Paolo II nel 1983, ossia a 1950 anni dalla morte e Resurrezione del Cristo, oppure l’Anno Paolino voluto da Benedetto XVI dal giugno 2008 al giugno 2009, per commemorare il bimillenario della nascita di Paolo di Tarso (5/10 d.C, morto tra il 64 e il 67 d.C.). In questo caso il fulcro della liturgia era la Basilica di san Paolo fuori le mura, ove sono conservate le reliquie dell’apostolo. L’Anno Paolino fu un giubileo speciale a inizio del quale venne aperta la Porta Paolina della stessa Basilica e accesa, per tutto il periodo consacrato, la cosiddetta “fiamma paolina”. Nella conferenza stampa per l’ufficializzazione del Giubileo Benedetto XVI, da Pontefice (ora emerito) e teologo qual è spiegò, come riportato nel bollettino della sala stampa vaticana, datato 21 gennaio 2008, che lo scopo di questo anno era riscoprire la figura di Paolo di Tarso, rileggere le sue lettere, approfondire il racconto della sua vita, contenuta negli Atti degli Apostoli e la storia della Chiesa dei primi secoli per riavvicinarsi alle sue origini e visitare la tomba del santo. Per ottenere l’indulgenza, oltre alla confessione, alla comunione e alla rinuncia al male, bisognava compiere il pellegrinaggio alla Basilica di San Paolo, all’Abbazia delle Tre Fontane dove l’Apostolo sarebbe stato decapitato, alla Basilica di San Pietro e a quella di San Giovanni in Laterano, dove si trovano le teste dei due santi. Da ricordare, poi, è il Giubileo straordinario indetto da Giovanni Paolo II nel 2000. Questo Pontefice, tanto amato dai fedeli, promulgò una lettera apostolica datata 10 novembre 1994, “Tertio Millennio Adveniente”, con la quale iniziò un periodo di preparazione all’imminente Anno Santo e in cui si legge che la Chiesa “non può varcare la soglia del Terzo Millennio senza spingere i suoi figli a purificarsi nel pentimento…”. Questa purificazione prevedeva anche, per i prelati e i credenti in generale, l’impegno a riflettere, negli ultimi tre anni d’attesa (quindi dal 1997), sulla figura di Gesù, dello Spirito Santo e di Dio. Il 29 novembre 1998 venne emessa la Bolla “Incarnationis Mysterium” attraverso la quale si ufficializzò il prossimo arrivo del Giubileo che avrebbe rappresentato un periodo di pentimento e di rafforzamento dell’unione tra i cristiani, non solo cattolici. Il procedimento per ottenere l’indulgenza venne semplificato da Giovanni Paolo II. Per ottenere il perdono, infatti, oltre ai sacramenti già citati, era necessario solo visitare, almeno una volta, una sola delle Chiese più importanti: Basilica di San Pietro, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura, San Lorenzo fuori le mura, Santa Maria Maggiore, il Santuario della Madonna del Divino Amore, oppure le Catacombe. In questo elenco rientrarono anche la Chiesa della Natività a Betlemme, la Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, la Chiesa dell’Annunciazione a Nazareth. La cosa importante era partecipare alla messa e all’adorazione eucaristica (l’ostensione e contemplazione dell’ostia consacrata).
Il Giubileo e l’indulgenza plenaria tra significato e storia
Il Giubileo della Misericordia che stiamo vivendo, iniziato lo scorso 8 dicembre, terminerà ufficialmente il 20 novembre 2016. E’ stato annunciato da Papa Francesco il 13 marzo 2015, mentre la Bolla di indizione, “Misericordiae Vultus” è stata promulgata l’11 aprile. Per ottenere l’indulgenza plenaria è necessario attraversare la Porta Santa di una delle quattro Basiliche più importanti di Roma, oppure di uno dei luoghi di pellegrinaggio in Terra Santa o tra quelli indicati dal Vescovo diocesano. Alla base, ovviamente, devono esserci il pentimento, la partecipazione alla messa e i sacramenti, come sempre. Il rito dell’apertura della Porta Santa, che l’attuale Pontefice ha esteso a vari posti nel mondo, indica non solo l’apertura dell’Anno Santo, ma anche il cammino di fede, purificazione e salvezza che i fedeli si apprestano a compiere. La prima Porta a essere aperta è quella di San Pietro e ognuna di queste soglie sacre viene murata di nuovo solo con la chiusura dell’Anno Santo. Nei tempi più antichi il Pontefice rompeva con un piccolo martello solo una piccolissima parte e la demolizione del muro veniva affidata a operai. Oggi, per semplificare, questo ostacolo viene rimosso prima. Già nel 1975 il Papa Paolo VI (1897-1978, eletto nel 1963) iniziò chiudendo solo i battenti della porta di bronzo alla fine delle celebrazioni e decidendo di murare la porta non più dall’esterno, bensì dall’interno. Il rito di apertura risale al 1499 ed esprime nei fatti ciò che Gesù disse, ovvero “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo” (Gv 10,9). La Porta di bronzo che noi conosciamo e che venne aperta per la prima volta in occasione del Giubileo del 1950 (inaugurata, esattamente, il 24 dicembre 1949), fu commissionata da Papa Pio XII (1876-1958, eletto nel 1939) allo scultore toscano Vico Consorti (1902-1979). Questi impiegò dieci mesi di intenso lavoro dal febbraio del 1949. Una curiosità: il 13 dicembre Papa Francesco ha aperto la Porta della Basilica di San Giovanni in Laterano per la prima volta dopo 592 anni, quando lo fece (prima volta in assoluto) Martino V (1368-1431, eletto nel 1417), nel 1423. Un ultimo approfondimento deve essere dedicato al tema complesso delle indulgenze. La storia dell’indulgenza ebbe origine nel mondo cattolico, in quanto ortodossi e protestanti, insieme alle altre confessioni di matrice cristiana non accettarono una simile pratica, in quanto ritenuta priva di fondamenti biblici. L’indulgenza non è altro che il perdono dei peccati e delle conseguenze da questi derivate attraverso il pentimento (sincero) e il sacramento della confessione a testimoniarlo. Essa può essere parziale o plenaria e attualmente viene regolata da due documenti: “l’Indulgentiarum doctrina” e “l’Enchiridion Indulgentiarum”, pubblicato anche con il nome tradotto “Manuale delle indulgenze”. Il primo venne promulgato da Paolo VI il 1° gennaio 1967, il secondo contiene anche la Costituzione apostolica di Paolo VI a cui abbiamo appena accennato. Nei primi secoli del Cristianesimo aver commesso un peccato molto grave, per esempio l’omicidio o l’adulterio significava, per il penitente, dover cambiare del tutto la sua vita, entrando nello status di ordo poenitentium, ovvero una morte sociale, una cancellazione di identità che poteva durare moltissimo tempo; chi vi era sottoposto veniva totalmente escluso dalla vita pubblica, quindi non poteva sposarsi, doveva rispettare un certo codice di abbigliamento, fare penitenze quotidiane e gli era vietato l’accesso alle cariche pubbliche.
Il vescovo poteva decidere di perdonare del tutto o in parte i peccati del penitente; in questo modo la sua pena veniva alleggerita ed era, più che altro, un gesto di pura compassione. Dall’XI secolo in poi si consolidò la tradizione, accettata e promossa dalla Chiesa, di compiere pellegrinaggi e fare elemosine ai bisognosi in cambio del perdono dei peccati. In questo modo l’esistenza del peccatore non era più sottoposta alla vergogna e all’emarginazione (partecipare alle Crociate aveva come conseguenza l’indulgenza plenaria).Tale pratica, pur offrendo un notevole vantaggio ebbe, purtroppo, anche un risvolto negativo: l’indulgenza, infatti, non cancella un peccato, ma lo perdona, assolvendo chi lo ha commesso e mitigando, del tutto o in parte, la sua condanna. Molti fedeli, però, cominciarono a confondere cancellazione e perdono della colpa, pensando che l’indulgenza li “purificasse”, ovvero, li facesse tornare alla condizione precedente all’atto stesso del peccato. Inoltre il peccatore penitente usava fare elemosine per ringraziare del perdono concessogli oppure ottenerlo, ma pian piano questo modo di fare si alterò, o meglio si corruppe, in modo che per ottenere la remissione dei peccati (e, come abbiamo visto, molti credevano di averne anche la cancellazione) divenne necessario fare una o più donazioni alla Chiesa. Peggio ancora: il pagamento delle indulgenze assunse i tratti di un mercanteggiamento talmente diffuso, con tanto di “listino prezzi” ante litteram, da non poter più essere considerato “raccomandabile”, o, comunque spontaneo, naturale da parte del fedele. Insomma, questa tradizione, interpretata malissimo, avviò un processo di degenerazione all’interno e all’esterno della Chiesa e fu inevitabile lo scontro con Martin Lutero (1483-1546) e la Riforma protestante. Oggi la pratica delle indulgenze è molto più controllata e codificata. Ciò consente ai penitenti di avere maggiore sicurezza e, in questo Anno Santo, basta solo leggere i siti dedicati all’evento per informarsi ed evitare di cadere in spiacevoli disavventure (purtroppo le “mele marce” sono sempre esistite). Ciò a cui non si porrà mai fine, probabilmente, è l’intenso traffico romano, anche questo parte integrante della storia (recente) di Roma e del Giubileo (per fortuna non del suo significato più profondo): la grande affluenza di pellegrini prevista dovrà fare i conti con il caos di una delle città più belle al mondo e i poliziotti vigilare, soprattutto in un periodo difficile come quello che stiamo attraversando. Del resto Dante ne aveva già parlato: “Come i roman per l’essercito molto, l’anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo colto, che da l’un lato tutti hanno la fronte verso ‘l castello e vanno a Santo Pietro, da l’altra sponda vanno verso ‘l monte” (Inferno XVIII 28-33).