IL RIVOLUZIONARIO, INTERVISTA A VALERIO VARESI

varesi rivoluzionarioÈ il 1945, la guerra è finita e l’Italia fa i conti con le terribili ferite del secondo conflitto mondiale. È il tempo della ricostruzione, e l’ex partigiano Oscar è in prima linea sul fronte della rinascita. Affiancato dall’amata Italina, amica, confidente e moglie, Oscar prende parte all’impresa di fondare un Paese moderno, ispirato agli ideali di eguaglianza e giustizia sociale. Negli anni però i compromessi della politica e le divisioni ideologiche spingono Oscar a cercare fuori dalla sua città, Bologna, la visione di un mondo nuovo. Per incontrare l’orrore del socialismo reale e della Guerra Fredda, e varcare – infine – altri confini, diretto verso il cuore della tenebra e la fine di un’epoca. Il rivoluzionario (Frassinelli, pp. 468, Euro 18,50), nuovo libro di Valerio Varesi, racconta uno spaccato di storia italiana, trent’anni che hanno plasmato la vita dei protagonisti e del Paese.

Cosa l’ha spinta a raccontare la storia italiana del secondo dopoguerra?

Gli anni che vanno dal 1945 al 1980 sono stati fondamentali per la nostra storia. È stata un’epoca di grandi speranze per tutti, terminata però con la morte della politica e la nascita del liberismo economico. L’interesse economico ha avuto la priorità rispetto al progetto sociale e politico e ciò ha determinato la crisi attuale. Volevo raccontare questo processo di trasformazione dal punto di vista di chi ha creduto negli ideali del comunismo.

Nel Rivoluzionario si intrecciano fatti e personaggi storici con personaggi di fantasia. Qual è il limite tra realtà e finzione narrativa?

Oscar, Italina e Dalmazio, i protagonisti principali, sono il simbolo di quella parte di Italia che sperava di ribaltare il mondo. Nel raccontare la loro vicenda ho incrociato personaggi reali come i sindaci di Bologna o Togliatti, che fanno da sfondo alla storia.

valeriovaresiProtagonista del romanzo è Oscar Montuschi, ex partigiano sostenitore del comunismo pure, che a fatica cerca di adattarsi alla nuova realtà italiana e alle trasformazioni del PCI. In che modo questo condiziona la sua vicenda?

Oscar aveva combattuto al fianco dei partigiani e pensava che la resistenza armata sarebbe continuata anche dopo la guerra. La realpolitik di Togliatti modifica le sue aspettative. È una delusione nella delusione. Né il mondo né il partito comunista corrispondono più ai suoi ideali. La sua vita, allora, si rivolge verso altri orizzonti, va a Mosca per fare la rivoluzione ma ci riesce soltanto in Mozambico, diventando in questo modo un rivoluzionario terzomondista. Alla fine torna a Bologna con la consolazione di aver tenuto accesa una fiammella di cambiamento nel mondo.

Oscar decide di lasciare Bologna e di andare a Milano, poi in Russia e anche in Africa. Cosa lo spinge ad accettare questi incarichi che spesso mettono a repentaglio la sua vita?

L’ideale di cambiamento per cui combatte tutta una vita. Oscar non sa vivere senza questa prospettiva e la alimenta attraverso l’avventura. Nell’Africa degli anni ’70, con il crollo dell’impero coloniale portoghese, scopre che il cambiamento nel mondo è ancora possibile e che può riguardare anche l’Italia.

Personaggio chiave della vicenda è la moglie di Oscar, Italina. Che ruolo svolge nelle scelte del marito?

Italina è una donna autonoma, con una sua visione del mondo. È per metà marxista e per metà cattolica nella convinzione che entrambe le ideologie spingono ad impegnarsi per il riscatto sociale degli umili. È una donna pratica che guarda al mondo con uno sguardo meno ideologico e, spesso, si trova a essere la coscienza del marito.

Oscar vive un rapporto conflittuale con il figlio Dalmazio. Che cosa determina l’incomunicabilità tra padre e figlio?

Oscar pensa più alla politica che alla vita familiare, è un padre assente. A questo si sommano le differenze generazionali e ideologiche. Dalmazio è un sessantottino, appartiene a quel movimento studentesco che entra in rotta di collisione con il PCI, e più che alla Russia guarda a Mao. Il rapporto tra padre e figlio subisce una svolta soltanto quando Oscar, deluso dal comunismo, straccerà la tessera del partito. In quel momento, suo figlio inizierà a vederlo come un modello.

Il romanzo si chiude con una speranza, quella che gli italiani tornino liberi e padroni di sé. Oscar e Italina possono ancora essere fiduciosi di fronte alla sconfitta dei loro ideali?

La speranza è qualcosa che non deve mai abbandonarci, è la capacità di reagire di fronte alla cose che non vanno. L’era del liberismo e degli interessi economici da anteporre all’individuo sta finendo e lo dimostra anche la crisi attuale, che si può risolvere soltanto riportando al centro il benessere comune.

Piera Vincenti

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