I belli e dannati, si sa, piacciono sempre, anche a distanza di 400 anni dalla loro morte. Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, continua a far parlare di sé, ad attrarre le masse, a dividere appassionati ed esperti di tutto il mondo. L’ultimo caso riguarda il presunto ritrovamento di 100 disegni e dipinti degli anni giovanili – trovati in un Fondo custodito al Castello Sforzesco e attribuiti a Caravaggio – che è subito diventato un “evento” di portata internazionale non solo per l’entità della scoperta (se autentici, i disegni varrebbero 700 milioni di euro) ma anche per il modo molto innovativo in cui è stata annunciata: tramite un lungo comunicato dell’Ansa e la pubblicazione di un e-book in due volumi, di 600 pagine l’uno, distribuiti da Amazon e corredati di foto e documenti. La sensazionale scoperta, però, divide il mondo artistico e scientifico. Pochi, per la verità, quelli che sostengono l’autenticità dell’attribuzione, tanti gli scettici.
Il ritrovamento è avvenuto a conclusione di una ricerca svolta da un gruppo di esperti, guidato da Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, che hanno confrontato i capolavori romani e napoletani con i disegni del Fondo Simone Peterzano, dal nome del Maestro milanese presso cui Caravaggio fu allievo dal 1584 e il 1588. Secondo i ricercatori, era impossibile che il pittore non avesse lasciato testimonianze degli anni giovanili presso la bottega di un artista all’epoca famoso e ricercato.
A portare all’attribuzione dei disegni a Caravaggio è stato il «canone geometrico» che sta sotto le raffigurazioni del primo periodo romano del pittore, dai volti di efebo al Ragazzo morso dal Ramarro. Il «Canone geometrico» sarebbe infatti una sorta di Dna grafico che ogni pittore possiede e che gli studiosi sono quindi andati a rintracciare nei disegni di studio del Fondo milanese, contente 1378 opere appartenenti a Peterzano e ai suoi allievi.
Bernardelli Curuz e Conconi Fedrigolli spiegano che «ben 83 saranno ripresi più volte nelle opere della maturità, a dimostrazione che il giovane pittore partì da Milano con canoni, modelli, teste di carattere e alcune possibili varianti stilistiche, pronti per essere utilizzati nei dipinti romani».
Al vaglio degli studiosi non solo i disegni ma anche un biglietto in cui Caravaggio si lamenterebbe, «mettendo in luce attriti e incomprensioni tra due temperamenti agli antipodi». Il breve scritto è stato sottoposto (ma solo in foto) a perizia grafologica in un confronto con ricevute vergate da Caravaggio nel 1605-1606. Per l’esperta grafologa Anna Grasso Rossetti, perita del tribunale di Brescia, i diversi biglietti sarebbero della stessa mano, quindi tutti autografi di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.
L’autenticità dei disegni, tuttavia, ha suscitato più di qualche perplessità per la metodologia con cui è stata condotta la ricerca (studiando fotografie e non gli originali) e sono stati annunciati i risultati. La critica si divide anche se è abbastanza concorde nel ritenere improbabile che quei disegni appartengano realmente al pittore milanese. Molti gli esperti che hanno detto la loro. Mina Gregori sottolinea la mancanza di un disegno certo di Caravaggio cui fare riferimento mentre Francesca Cappelletti nota come spesso le presunte analogie sono solo posturali: teste inclinate, braccia analogamente disposte. I disegni milanesi sono noti da tempo: comprati dal Comune di Milano nel 1924 e dal 2011 in via di catalogazione; ma studiati, ad esempio, da Maria Teresa Fiorio, Giulio Bora, Maurizio Calvesi, che però non hanno mai ipotizzato una correlazione tra quelle opere e Caravaggio. I più indulgenti parlano di «immagini da studiare», spiegando che tra quei disegni, la mano di Caravaggio potrebbe esserci, ma riconoscerla è assai arduo, essendo impossibili i paragoni.
Il mondo scientifico, dunque, è perplesso ma se l’autenticità di quei disegni fosse provata si aprirebbero nuovi scenari sulla vita di Michelangelo Merisi che porterebbero a riscriverne la biografia, in particolare per quanto riguarda la formazione del pittore e il suo rapporto con la protettrice Costanza Sforza Colonna.
Piera Vincenti