Abbiamo già parlato dell’ultimo lavoro di Sara Rattaro: il romanzo “Non volare via”, edito da Garzanti. Al centro della vicenda una famiglia come tante e che a un certo punto si trova a dover affrontare un primo, grande ostacolo: il piccolo di casa, Matteo, è audioleso. Dopo avervi raccontato un po’ il romanzo, oggi vi proponiamo un’intervista all’autrice, nel tentativo di capire da dove nasca un libro come questo e quali significati la giovane scrittrice genovese attribuisca alla famiglia, al tradimento, al perdono. Una chiacchierata informale, quindi, con l’autrice di romanzi di successo come “Sulla sedia sbagliata” (Morellini) e “Un uso qualunque di te” (Giunti).
Sara, il suo ultimo libro narra la storia di una famiglia che deve affrontare la sordità del figlio minore. Da dove viene la scelta di parlare di un tema come questo?
È stato quasi per caso. Un vecchio racconto che era rimasto nella mia memoria e la voglia di scriverlo si sono mescolati. Poi ho studiato moltissimo. Il più possibile. Ovviamente quando l’ho raccontato non potevo immaginare che un giorno avrebbe avuto questo successo.
Non è facile capire cosa si prova ad avere un figlio sordo. Come ha saputo rendere così bene i sentimenti contrastanti che caratterizzano Sandra e Alberto, genitori di Matteo?
Ho raccontato due genitori pieni di paure e sensi di colpa, come tutti i genitori. La sordità è raccontata in modo delicato perché ogni genitore deve trovare i sogni giusti per i propri figli, quelli per Matteo sono solo diversi dagli altri ma esistono e i suoi genitori si devono dare da fare.
La storia è raccontata attraverso più narratori. Si parte con la figlia Alice, si prosegue per quasi tutto il romanzo con il padre Alberto e chiudono il figlio Matteo e, infine, Sandra, la madre. Si può dire che il narratore principale sia Alberto: come mai questa scelta? È curioso che una donna decida di narrare la vicenda attraverso un personaggio maschile…
Ho accettato la sfida, con me stessa, di dimostrarmi che sapevo fare la narratrice e che potevo spaziare anche in campi meno immediati di quelli che ho a disposizione.
È stato difficile immaginare gli stati d’animo di un uomo come Alberto, diviso tra famiglia e l’amore di una vita?
Quando ho iniziato a scrivere Alberto sono stata assalita dalla paura di non farcela e che lui parlasse al femminile, in un modo poco credibile. Poi ho capito che se avessi messo d’accordo la paura che provavo di non farcela con la voglia di superarmi, avrei raccontato un uomo autentico.
Qual è il personaggio a cui è maggiormente legata?
Amo tutti i miei personaggi. Non riesco a preferirne uno. Quando scrivo sono dentro di loro e riesco a comprenderli anche nei loro limiti.
Tradimento. Una parola dura ma che, vista attraverso gli occhi di Alberto e la vicenda di Sandra, forse prende sfumature anche un po’ diverse. Colpevoli, sì, ma innamorati. Potrebbe essere un’attenuante?
Forse si, forse no. Nella vita di tutti i giorni ascolto centinaia di storie dolorose, assurde e spesso rocambolesche. La maggior parte ha un fattore comune: il tradimento, come se fosse più facile di quello che vogliamo credere e ad appannaggio di chiunque, quasi democratico. Forse è vero che l’amore possa rappresentare un’attenuate ma il tradimento è sempre sbagliato anche quando sembra inevitabile. Ma fare qualcosa di sbagliato non significa essere per forza delle persone cattive.
La vita come una scacchiera, su cui si muovono le pedine e dove una mossa sbagliata può compromettere la partita intera. Una metafora che accompagna l’intero libro. Crede che le regole degli scacchi possano essere applicate alla vita di tutti i giorni? Con che benefici?
Quando mi sono avvicinata agli scacchi ho scoperto questo mondo di regole che assomigliano molto alle regole della vita. Credo che la vita sia più generosa di una partita a scacchi, possiamo permetterci di sbagliare spesso.
Errare è umano. I suoi personaggi amano, sbagliano, ma alla fine sembrano capire che “a volte è meglio sacrificare un pezzo per non compromettere l’intera partita”. Qual è il messaggio che vuole lasciare attraverso il suo ultimo lavoro?
Il finale del mio libro è uno dei tanti possibili. È stato quello che io ho visto e amato. Credo che la famiglia sia una bomba pronta ad esplodere e il segreto del suo successo è capire come fare dopo il disastro, cosa si diventa. La mia famiglia trova una sua soluzione diversa da prima, ma non per questo sbagliata.
Valentina Sala