L’oscura immensità della morte di Massimo Carlotto, la recensione

edizioni E/O pp. 192
edizioni E/O pp. 192

Leggendo il romanzo di Massimo Carlotto, talentuoso scrittore padovano, capitolo dopo capitolo si viene catapultati nel significato terribile del titolo. Un bimbo di otto anni e la sua giovane madre rimangono uccisi nel corso di una rapina in una città del nordest. Per Silvano Contin, padre e marito dei due, la vita si ferma, impantanata nel dolore, nel ricordo, nella rabbia di chi ha perso tutto in un istante di follia altrui. Come un automa, sopravvive agli anni che intanto corrono, isolandosi sempre più in un vortice senza fine, rassegnato all’incapacità della giustizia di scovare il secondo rapinatore, accusato dal complice ergastolano di essere l’autore materiale del duplice, insensato omicidio. Un’esistenza, quella di Silvano, quasi votata all’autodistruzione, ossessionata dall’immagine dei suoi cari sul tavolo autoptico. Oscura immensità quella di cui si nutre, giorno dopo giorno, fino a quando la domanda di grazia, e simultaneamente la necessaria richiesta di perdono di Raffaello Beggiato, condannato all’ergastolo e malato di cancro ormai quasi in fase terminale, non lo raggiunge. Se possibile, da quel momento l’oscurità mortifera che già avvolge le disgraziate vite di quelli che sono i protagonisti del racconto (Silvano Contin, vittima, e Raffaello Beggiato, colpevole) assume i contorni delle tenebre più inquietanti e si assiste, di capitolo in capitolo, a una sorta di macabro gioco a scacchi in cui i due contendenti mirano ognuno a uno scopo diverso da quel che sembra. Con stile asciutto, senza prolissità, l’autore riesce a imprimere alla storia un andamento avvincente, crudo, con colpi di scena a catena. L’oscura immensità della morte si fa davvero assoluta, tanto da ribaltare quasi i ruoli e annullare le certezze morali. Non c’è scampo per nessuno in questo “gioco”, né per uno Stato incapace di dare certezze a chicchessia, innocenti o colpevoli, né per chi inizialmente sembra giustamente soltanto vittima, né tantomeno per i colpevoli giudicati tali dalle istituzioni. Il limite tra giustizia e ingiustizia, verità e bugia, onestà e corruzione, viene più volte oltrepassato in più direzioni e, paradossalmente, la brutalità veste i panni di un comune borghese travolgendo ingiustamente anche chi non ha nulla a che fare con un passato sanguinoso. Paradossalmente, la speranza e la comprensione sembrano alloggiare nella mente e nel cuore di Beggiato, condannato dalla giustizia e dalla malattia. Romanzo forte, appassionante, cinico, sul perdono, la rabbia, la violenza, che alla fine lascia l’amaro in bocca per un senso d’ingiustizia complessiva nella storia ma che, nella mente sconvolta dall’odio del protagonista, trova una sua collocazione giustificatoria. Nel finale, come un novello “Mattia Pascal”, Silvano Contin farà perdere le sue tracce dai luoghi del dolore, ma sempre inseguito dall’oscurità, dal dubbio, dal tormento. Senza scampo. Dal romanzo di Massimo Carlotto, che è anche autore teatrale, è stato tratto uno spettacolo che, dopo una lunga e fortunata tournèe in tutta Italia, approderà a Roma nel prestigioso Teatro Eliseo, per la regia di Alessandro Gassman, dal 18 al 30 marzo 2014. Protagonisti, Giulio Scarpati e Claudio Casadio.

Paolo Leone

 

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