«Chi sa solo di calcio non sa niente di calcio». Josè Mourinho ci svela a modo suo una formula estendibile a qualsiasi disciplina, un salto oltre l’autoreferenzialità, verso la ricerca del vero che si nasconde nelle pieghe del quotidiano. Così anche il calcio, sulla bocca di tutti dai dibattiti televisivi e alle chiacchiere da bar, può diventare soggetto che parla filosoficamente e che mette in discussione gli assunti stessi della filosofia.
Elio Matassi, direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Università Roma3, professore ordinario di Filosofia morale e Presidente dell’Accademia Estetica internazionale di Rapallo, ci introduce all’interno del saggio “La pausa del calcio” uscito per la casa editrice “Il ramo” all’interno della collana “Spiel”. Diviso in tre parti (un’introduzione, una prima parte “olimismo metafisico e il calcio” e una seconda “lo spazio, il tempo e gioco del il calcio”), il volume prende le mosse da una considerazione: affermazioni filosoficamente intelligenti possono essere anche svolte da un allenatore di calcio. Tra gli esempi esposti da Matassi c’è appunto Mourinho, con la sua massima valida anche per la filosofia. Ma c’è anche Arrigo Sacchi, che individua un problema filosofico che si pose Leibnitz: la totalità funziona meglio se è autosufficiente o se è eterodiretta?
Il calcio e una gran parte dello sport professionistico, anestetizzando tutti i possibili conflitti, sembra ormai essere dominato dalla cura, ossia dalla privazione di ogni genuino sentimento e quindi di avere perduto le sue origini etico-eroiche e la sua identità.