Le disuguaglianze sono un criterio essenziale per valutare il progresso civile e sociale di un paese. Eppure in Italia, con disuguaglianze diffuse, se ne discute poco, soprattutto in termini della loro accettabilità o meno. Questo il pensiero di Maurizio Franzini, docente di politica economica all’Università ‘La Sapienza’ di Roma, illustrato nel suo libro ‘Ricchi e poveri – L’Italia e le disuguaglianze (in)accettabili’, con l’intento di fornire al dibattito pubblico e politico gli elementi per dedicare al tema l’attenta considerazione e discussione che meriterebbe.
Franzini parte proprio dai dati disponibili per illustrare la disuguaglianza presente in Italia. Dati che dimostrano, per esempio, che solo cinque paesi dei 30 dell’area Ocse fanno peggio dell’Italia e che la disuguaglianza economica in Italia è rimasta stabilmente alta negli ultimi 15 anni.
Per giungere a un giudizio sull’accettabilità o meno di questa alta e persistente disuguaglianza, Franzini compie un’attenta analisi delle condizioni italiane che favoriscono il radicamento delle disuguaglianze. In primo luogo, analizza il fenomeno dell’alta trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze in Italia, dato che secondo alcuni studi la disuguaglianza che c’è tra i figli è per metà spiegabile dalla differenza di reddito che sussisteva tra i rispettivi genitori. Tale trasmissione si realizza poi, illustra Franzini, anche in altri canali come l’istruzione. Il titolo di studio elevato di genitori benestanti incide sulle probabilità dei figli di ottenere simili titoli, che permette poi di accedere a redditi più elevati. «In Italia c’è un ampio cuneo tra le prospettive dei figli dei ‘ricchi’ e quelle dei figli dei ‘poveri’,» sostiene Franzini.
Passando poi al tema della distribuzione dei redditi, Franzini sostiene che la notevole estensione dei contratti a tempo determinato e atipici ha lasciato molti lavoratori sotto la soglia di povertà e determinato uno slittamento verso il basso dei salari. Il fenomeno della crescente concentrazione del reddito dei super-ricchi ha conosciuto intanto un notevole impulso con l’accesso a compensi molto elevati permesso da meccanismi solo limitatamente riconducibili ad abilità personali.
Franzini passa poi ad illustrare le sue perplessità sulla teoria molto diffusa, e che ha molto influenzato il dibattito, secondo cui la disuguaglianza è accettabile perché è funzionale alla crescita e giova al progresso sociale. «Il nesso tra crescita e disuguaglianza è molto debole e meglio si farebbe a considerare i due fenomeni largamente indipendenti», sostiene Franzini.
Quest’approccio strumentale alla disuguaglianza, che subordina la sua riduzione alla crescita economica, si aggiunge ad altri fattori, secondo Franzini, nello spiegare la tolleranza della disuguaglianza in Italia e la sua perdita di rilevanza nel dibattito politico. In primo luogo, l’alto numero di ‘poveri inegualitari’, come li descrive Franzini, che ritengono che gli ostacoli all’arricchimento non sono ardui da superare e credono nel ‘salto di corsia’. E poi il numero elevato di ‘poveri silenziosi’, delusi da una politica percepita come funzionale agli interessi dei benestanti e che non manifestano più il loro disagio.
«Le disuguaglianze in Italia sono in buona parte inaccettabili perché derivano da caratteristiche che non hanno il valore sociale dell’istruzione, a decretarle è spesso un meccanismo molto imperfetto di valutazione e perché l’accesso a quelle caratteristiche avviene in condizioni di forte disparità,» conclude l’autore. «In Italia la disuguaglianza dei redditi è alta e la povertà diffusa e discutere di disuguaglianze accettabili è urgente e importante.»