Nell’era della comunicazione l’individuo è sempre più solo. L’arte di Bissattini riflette proprio sulla condizione dell’uomo costretto a vivere di luce riflessa, nella piena incomunicabilità, perdendo curiosità e interesse verso il mondo, verso l’intero universo. La personale di Claudio Bissattini – che sarà inaugurata a Napoli a Castel dell’Ovo il 26 marzo 2013, alle 17.30, e si chiuderà il 4 aprile 2013 – è curata da Marco Di Capua ed è ideata da Fabio Cozzi e organizzata dalla Galleria Michelangelo di Roma.
La mostra – Bissattini nelle sue opere analizza il rapporto del singolo individuo con il proprio passato, sempre lì pronto ad alimentarsi, e l’estrema dipendenza di quest’ultimo dal presente. Architetture fluttuanti dialogano con lo spazio, raccontandoci del presente e del passato, ma anche del prossimo futuro, reso dalla sua poetica dedicata al riciclaggio. Come un alchimista, l’artista romano, diplomato in Belle Arti nel corso di scenografia tenuto dal professor Scialoja, riesce a porsi oltre la mera oggettualità latente delle cose, trovando nella materia la sua parola, il suo pensiero, la sua immaginazione la sua fantasia, restituendo dimensioni trascendenti e archetipe. Lavori di grandi e medie dimensioni, sottolineano la mutevolezza del passato in continuo moltiplicarsi e si intrecciano con lo stato d’animo del momento, offrendo al visitatore lo spunto per osservare da punti di vista diversi, spesso antitetici, la medesima realtà trascorsa. Sedie rotte, ombrelli abbandonati, copertoni di automobili, oggetti d’uso quotidiano, rifiuti, pezzi di ferro, apparati meccanici, sono privati della loro funzionalità per diventare portatori di altri significati e valori, riproposti per ridisegnare possibili rinascite. Anche singolari comunicazioni pubblicitarie sono proposte come scenari futuribili, sedimentati insieme agli oggetti, che diventano soggetti nelle sue opere, in un melting pot culturale dell’artista, che ci restituisce i suoi sogni attraverso reliquiari memoriali. Con una ricca gamma cromatica, Bissattini, rappresenta simboli che “raccontano” una storia, un passato fortemente emozionale, che appartiene ad ognuno di noi. Dal mondo vegetale, passa a quello urbano, metallico. I rottami si pongono in ideale dialogo con le forme naturali precedenti. Luce, ombra, pieno, vuoto, finito, incompiuto, sono il comune denominatore per mettere in evidenza i processi esecutivi dell’opera. Attraverso il taglio fotografico di queste immagini, rese con colori forti, tonalità e chiaroscuri accentuati, l’artista priva anche le forme della loro intrinseca oggettività che di conseguenza acquistano una funzione evocatrice per farci riflettere sul nostro destino in questa nostra perfettissima società dei consumi, dove tutto appare lucido, razionale, preordinato.