Quante volte ci siamo chiesti “Ma chi me lo fa fare?” Quante volte, nel mezzo di un’ondata di multitasking, abbiamo sentito un senso di oppressione al petto? Non so a voi ma a me è successo. Mi è capitato quando lavoravo 13 ore al giorno in una redazione di un giornale dove mi recavo a mie spese, senza paga. I miei datori di lavoro spacciavano la loro disonestà per opportunità ed io, inesperta, ci credevo. La fiducia in sé serve sempre, dopo la laurea è indispensabile. Nelle scuole e all’università dovrebbero incentivare lo sviluppo dell’intelligenza emotiva affinché, una volta entrati nel mercato del lavoro, gli ex studenti non si facciano manipolare, come è accaduto a me, perché certe esperienze a volte ti restano dentro condizionandoti. Cominci a non fidarti di te e degli altri, cominci a non sognare, cominci a non sperare.
Recensione del libro Ma chi me lo fa fare? Come il lavoro ci ha illuso: la fine dell’incantesimo
Il libro di Andrea Colamedici e Maura Gancitano ‘Ma chi me lo fa fare? Come il lavoro ci ha illuso: la fine dell’incantesimo’ (HarperCollins) ha suscitato in me non solo indignazione ma anche la voglia di contribuire a cambiare le cose nel mio piccolo, mettendomi ancora più in gioco nella vita pubblica e sociale. Perché c’è bisogno di ricoprire di senso anche il proprio lavoro, andando oltre la concezione negativa contemporanea del termine competere che originariamente significava chiedere, dirigersi, andare insieme, chiedere insieme. E invece, come sottolineano gli autori di questo saggio di 165 pagine, siamo in costante competizione.
Sovrastati da mille impegni, da logiche lavorative deleterie ed annichilenti (sempre secondo Gancitano e Colamedici) non sappiamo più oziare. Complici i social network, i film e le serie tv che sono stati resi accessibili h24, siamo iper stimolati fino a tarda notte e questo – sostengono i due filosofi ed ideatori del progetto Tlon – incide in negativo sulla nostra salute psicofisica.
In realtà Ma chi me lo fa fare? è una critica severa al sistema neoliberista, dove ogni cosa, compresa la forza lavoro, acquisisce un valore solo se ha un prezzo. Tutto gira intorno al profitto e al conseguente consumo; perciò ogni individuo è un performer che deve generare reddito ed essere sempre attivo sui social sia se lavora come dipendente sia se è un libero professionista sia se è egli stesso a creare lavoro.
La società della performance
I suddetti argomenti sono stati affrontati da Andrea Colamedici e Maura Gancitano già in un altro saggio che si intitola ‘La società della performance’. Tuttavia è in questo nuovo volume che i due filosofi approfondiscono e sviluppano il tema del lavoro che oggi, sostengono, è stato messo al centro della nostra vita e non solo in città come Milano o New York ma in tutto l’Occidente. E la logica dell’iper lavoro purtroppo si è diffusa anche in Oriente. La pandemia ha poi confuso e unito, con lo smart working, lo spazio lavorativo con quello privato e di conseguenza non si stacca mai.
Il lavoro, affermano gli autori del libro oggetto di questa recensione, è diventato una vera e propria religione, con dei dogmi precisi. Chi li infrange, magari oziando, è un peccatore che deve essere escluso. Gancitano e Colamedici ripercorrono brevemente la storia dell’idea moderna di lavoro per dimostrarci che prima delle rivoluzioni industriali gli esseri umani avevano altri ritmi e altri valori.
Ci dicono inoltre che anche il lavoro dei sogni, se fatto in modo fenetico, toglie spazio alla creatività e quindi potrebbe trasformarsi in un incubo. Com’è successo d’altra parte alla sottoscritta. Nel saggio si affronta poi il tema delle disuguaglianze di classe, affermando che non sempre se ti impegni ce la fai (altro motto del nostro tempo) perché le condizioni di partenza (come territorio, classe di appartenenza etc) potrebbero essere determinanti, anche per un fattore cognitivo legato a dinamiche collettive.
Le soluzioni?
Gli autori infine offrono alcune soluzioni, perché – riconoscono – il sistema neoliberista non può essere smantellato. Insomma Ma chi me lo fa fare? è un libro che induce una profonda riflessione. Ovviamente ogni frase non va presa per oro colato ma ai due filosofi bisogna riconoscere il merito di aver aperto un dibattito su un fatto oggettivo: sempre più persone si stanno licenziando in Italia perché esauste dai ritmi massacranti.
D’altra parte questa tematica è molto sentita anche nella Settima Arte, come si evince nel film di Netflix Era ora, dove il personaggio principale è uno stacanovista che resta incastrato in una sorta di incantesimo temporale che non gli fa vivere letteralmente le cose che gli accadono, perché in un battito di ciglia si ritrova invecchiato di un anno. Insomma il lavoro – ci dicono Colamedici e Gancitano nel libro – è una parte della nostra vita ma non può diventare la nostra ragione di vita né scandire le nostre ore nel tentativo costante di migliorare la nostra condizione.
Il lavoro come campo di azione collettiva
“Il lavoro può essere uno straordinario campo di azione collettiva ma affinché lo diventi bisogna innanzitutto disfarsi dell’idea che si debba trovare un impiego ad ogni costo. Quando la piena occupazione diventa un valore in sé, il lavoro perde la sua funzione spirituale e diventa soltanto uno svilente strumento di alienazione, e in questo modo smarrisce tutto ciò che di buono potrebbe generare”. Per gli autori, abbiamo bisogno non solo di oziare ma anche di dedicarci alla cosa pubblica.
“Abbiamo bisogno di un risveglio collettivo del desiderio, un reincantamento del mondo: perché c’è il potenziale per rendersi conto che il lavoro non è solo l’industria, non è soltanto l’atto di produrre, trasformare e ancora produrre e trasformare, ma è anche l’arte di ricreare la vita, di rigenerarla, di accompagnare la fioritura del creato”.
Da qui la necessità di dare valore e dignità al lavoro di cura, anche e forse soprattutto a quello domestico non retribuito. Curare è amare. E le mansioni di cura sono estremamente necessarie. Ce ne accorgiamo, per esempio, quando entriamo in una toilette di una stazione. Dunque, quelli espressi in questo saggio sono concetti di vecchia data, ma pieni di senso, che è bello ed interessante riscoprire. Ma chi me lo fa fare? è nelle librerie fisiche e negli store online. Lo trovi anche qui. Maria Ianniciello