Sugli scaffali delle librerie balza subito all’occhio Massimo Gramellini con ‘C’era una volta adesso’, edito da Longanesi. Nel nuovo romanzo lo scrittore di ‘Fai bei sogni’ entra nella quotidianità di un bambino di nove anni che vive le ansie del lockdown di marzo-aprile 2020, quando il mondo e innanzitutto la città di Milano si chiusero in casa, per la prima volta nella storia dell’umanità.
E allora Gramellini si chiede qual è il potere dell’adesso sulla generazione dei futuri adulti in un momento in cui quasi nessuno pensa per davvero ai bambini. Come vivono i più piccoli questa clausura? Quali sono le loro ansie? E come questa fase di introspezione può contribuire a sanare vecchie ferite creando un movimento psichico in una stasi collettiva.
“(…) Il mondo riprese la sua corsa verso l’Adesso che mentre lo si vive appare molto peggiore di tutti gli Adesso che lo hanno preceduto, ma che dopo qualche anno gli uomini cominciano a rimpiangere, cullando ricordi deformati dalla nostalgia (…)”.
Massimo Gramellini, in C’era una volta adesso le ansie del lockdown
In C’era una volta adesso la voce narrante è di un Mattia adulto che ci rievoca con il suo racconto, in prima persona, com’è stato quel periodo per ciascuno di noi. Mattia si è ritrovato in casa con il padre Andrea che a soli tre anni lo aveva abbandonato e comincia a guardarlo per davvero. E, mentre il figlio scopre il padre per la prima volta, dandogli fiducia, è il padre che, grazie al figlio, cresce per davvero uscendo dall’infantilismo che lo aveva caratterizzato. Sullo sfondo ci sono l’anziana nonna, la madre Tania, la sorella Rossana e i vicini che cantano e parlano tra loro sul balcone. E poi ci sono le sirene delle autombulanze di Milano e i momenti più difficili della prima fase della pandemia.
Gramellini però in questo nuovo romanzo non entra mai in profondità, forse perché le ferite di quel periodo sono ancora tangibili, forse perché la metamorfosi non si è ancora compiuta, forse perché ancora non sappiamo cosa ci accadrà e quanto la pandemia riuscirà a trasformarci. O più semplicemente perché lo scrittore dà la parola ai ricordi infantili e quindi sbiaditi di un adulto. Voto: [usr 3.5] Maria Ianniciello