Andy Warhol. Spring Pop è una piccola ma interessante mostra di Milano che si può tranquillamente definire minimalista ed essenziale, allestita fino al prossimo 25 giugno presso la sede meneghina di AICA – Andrea Ingenito Contemporary Art. Lo spazio, aperto da pochi anni a seguire il percorso artistico iniziato dalla sede centrale della galleria a Napoli, è in un quartiere periferico in via di ridefinizione con molti fabbricati industriali che pian piano vengono convertiti a nuovi usi e integrati nel tessuto urbano, e in qualche modo questa mostra porta il fermento di una zona in rapida mutazione della città anche all’interno di AICA, in pochi anni diventata uno dei punti di riferimento per la “Popular Art”. L’artista presentato con questa retrospettiva, del resto, è stata la prima vera rockstar dell’arte figurativa, il frontman della pop-art, il cantore dell’effervescenza metropolitana ed è difficile immaginare luogo più adatto per far da cornice alla sua poetica.
Milano non è comunque nuova a esibizioni dell’opera di Warhol, sempre accolte con gran favore dal pubblico: negli anni scorsi ce ne sono state ben due di rilevanza nazionale come Stardust al Museo del Novecento e Warhol a Milano a Palazzo Reale. Andy Warhol. Spring Pop, pur se non paragonabile per dimensione o vocazione alle precedenti visto che presenta un numero limitato di opere al di fuori di spazi museali, in qualche modo può essere a loro idealmente collegata come postilla, esponendo lavori noti a cui si affianca qualche interessante rarità (o curiosità). Nello specifico, accanto ad alcune delle sue celeberrime Marilyn (la serie realizzata a metà anni ’80), allo Zio Sam (del 1981), a un paio di banconote da due dollari, a una serigrafia Camouflage o a una natura morta con meloni, in Andy Warhol. Spring Pop trova spazio anche un nudo a carboncino che Andy Warhol schizzò sulla base di una fotografia di inizi ‘900 del barone von Gloeden – di cui il gallerista Lucio Amelio aveva acquistato il catalogo – e che ritrae un giovane efebo con una lancia: poche linee tracciate senza esitazione colgono personalità e dinamica fisica (oltre che a Warhol Amelio chiese anche a Pistoletto e a Beuys di intervenire su diverse immagini dello stesso fotografo raccogliendo poi in una famosa esposizione nel 1978 le opere prodotte). Questo nudo, che dimostra la capace mano di Warhol artista grafico, è esposto con felice intuizione quasi di fronte ad alcuni acetati tratti da polaroid che altro non erano se non il primo passo per la creazione delle famose serigrafie colorate diventate il manifesto della pop-art (non solo warholiana). Praticamente i due poli entro cui il fondatore della Factory si muoveva continuamente – creatività e tecnica – padroneggiando i quali è riuscito a diventare uno degli artisti più noti e celebrati della sua generazione. Le suggestioni visuali apparentemente elementari tipiche della pop-art di Warhol, frutto di un meticoloso e paziente lavoro artistico e artigianale, si ritrovano anche in due opere appartenenti alla serie Vesuvius (del 1985): un multiplo in edizione numerata ed un pezzo unico, frutto anch’esse del rapporto di amicizia con Amelio.
L’insieme delle circa trenta opere esposte presenta quindi in maniera critica e in definitiva completa la complessa figura di un artista molto famoso ma forse non altrettanto conosciuto (il che può essere considerato il rovescio della medaglia dell’essere una rockstar). Ed è un bene che ciclicamente si organizzino retrospettive su Warhol, magari contenute ma articolate come questa, alimentandone il mito (malgrado io sia passato in galleria un normale martedì pomeriggio, vi ho lo stesso trovato parecchi visitatori) perché è inevitabile che le persone finiscano per porsi di fronte a una mostra così apprezzandone in prima battuta il senso logico e la direzione intrapresa, finendo poi però per interrogarsi sui percorsi creativi dell’artista (e dell’arte in generale). Andy Warhol è ancora, e ovviamente, un incantatore visuale che non ha perso il proprio fascino, ma è anche un mistero complesso che genera curiosità e per capire il quale è necessario dotarsi di strumenti, approfondire. Cominciando ad esempio ad analizzare il legame tra l’arte e l’aspetto economico che a essa si lega: il visitatore non si pone di fronte a un singolo quadro di Monet, ma a opere trattate normalmente nel mercato d’arte, presenti nei musei e nelle collezioni private senza soluzione di continuità. La famosa democratizzazione dell’arte appannaggio delle masse, ipotizzata dalla pop art, vive dunque con la stessa valenza di una volta a Milano nella mostra Andy Warhol. Spring Pop dimostrando che la potenza di una forte intuizione artistica non perde il proprio potere con il passare del tempo.