Il dissolvimento della pittura, anche di quella astratta, avviene quando essa diviene pensiero, concetto, in una progressiva diminuzione di contatto tra la tela e l’uomo? E cosa diventa? Quali le nuove forme di espressione? Rimane il contatto con i fuitori ultimi delle opere, cioè il pubblico, o anch’esso è un elemento non più essenziale? A queste domande risponde la mostra allestita presso l’Accademia di Francia a Roma, a Villa Medici: La pittura o Come sbarazzarsene, curata da Eric de Chassey. Le opere esposte sono quelle di quattro grandi artisti del novecento: l’italiano Fabio Mauri, l’americana Marcia Hafif, il francese Martin Barré e lo svizzero Olivier Mosset. Distribuite in quattro grandi spazi espositivi la mostra ci conduce, non senza qualche perplessità, nel loro percorso artistico che, tra la fine degli anni cinquanta e quella degli anni sessanta, ha rappresentato l’estremizzazione del concetto che ha dato il titolo alla mostra. Pur essendo ispirato alla prima opera teatrale di Eugène Ionesco (Amedeo o Come sbarazzarsene), visitando la mostra se ne percepisce chiaramente il senso. Può piacere oppure no, ma è sicuramente lo sviluppo di un concetto messo in atto. Il tentativo e la realizzazione pratica del superamento della pittura astratta. Si comincia con le opere di Mauri, un maestro dell’avanguardia italiana, intellettuale di picco, che negli anni 50 abbandona lo stile espressionista.
I suoi “schermi” sono la risposta alla questione della fine della pittura e del suo superamento, occupano parte della prima sala della Mostra, simboleggiando il luogo di ogni possibile proiezione, spesso vuoti e bianchi, operazione inversa rispetto alla rampante industria dell’immagine. Gli risponde, con le sue opere esposte nella parete opposta, Martin Barré che, agli inizi degli anni 60, accentua il rifiuto della gestualità, lavorando solo su schermi bianchi, spesso segnati con linee eseguite direttamente col tubetto del colore. La riduzione del gesto ad “un principio di annotazione”. Passerà in seguito all’utilizzo delle bombole spray “utensile comune come un insetticida”, sviluppando la sua arte contrassegnata dall’assenza di contrasto tra la tela e l’uomo.
Nella seconda sala è Marcia Hafif che accoglie il visitatore, con le sue tele che diventano strutture intorno a una forma e una controforma, nessuna delle due dominante sull’altra. Scompare la pennellata ed emerge la stesura uniforme di colori dalle forme nettamente stagliate. Anche lei, dal 69, passerà all’utilizzo dello spray, tendente a dissolvere ogni confine, fino alla scomparsa delle forme nelle sue ultime pitture (in Italia) e la sua opera Gennaio 1969 ne è esempio lampante.
Proseguendo nella visita, ci si imbatte nella sezione dedicata alle opere di natura concettuale (sicuramente le meno facili da apprezzare) e tra queste colpiscono in particolar modo quelle di Barré, con le sue “zebre” e di Mosset con i suoi cerchi. Con le prime, ci dicono, l’artista con le sue striature ripetitive (spray) “più che rappresentare qualcosa, tenta di designare lo spazio reale in cui il gesto del pittore è stato fatto e che la pittura con lo spray rende immediatamente visibile”. Con le seconde, i Cerchi di Mosset, quadro dipinto consecutivamente per 8 anni, si “contraddistingue il rifiuto di iscriversi nella logica di rinnovamento e progresso che permetterebbero di attribuire all’opera un valore, estetico e commerciale”. In questa sezione sono presenti anche una parte delle immagini su cui Fabi Mauri lavorò dal 71 al 76: Manipolazione di cultura, una serie di fotografie tratte da riviste fasciste, elaborate dall’artista. L’ultimo spazio della Mostra lascia spazio alle grandi opere monocrome, “pittura che segue la fine della pittura”, dove “il quadro da immagine diventa oggetto materiale a tutti gli effetti nello spazio reale”.
A un occhio non avvezzo a questo tipo di espressioni artistiche, queste opere possono apparire, ad un primo impatto, incomprensibili. Ma le idee, i pensieri, i concetti che esprimono sono senza dubbio affascinanti, interessanti, e questa Mostra riesce a farli emergere chiaramente. Non ci si deve intimorire. Come affermava Andy Warhol: “Non ti preoccupare, non c’è niente che riguarda l’arte che uno non possa capire”. La Mostra sarà visitabile fino al 14 settembre.
Paolo Leone
Si ringrazia l’ufficio stampa – Villa Medici (Studio Martinotti)