E’ una mostra straordinaria quella che percorre i cambiamenti e gli elementi costanti nell’approccio alle opere di Samuel Beckett e che sarà ospitata a breve nella Casa dei Teatri di Roma.
Sono passati ormai più di 60 anni dalla prima mondiale di “Aspettando Godot” al Théatre de Babylon di Parigi e da allora queste e altre opere dello scrittore irlandese hanno rappresentato una feconda fonte ispiratrice per la creazione scenica, sia per l’orizzonte della tradizione teatrale che per i linguaggi della sperimentazione, sino a toccare l’immaginario popolare, anche televisivo.
Dal 6 novembre al 26 gennaio 2014 i visitatori potranno così apprezzare “Prigionie (in)visibili”, una mostra che evidenzia i cambiamenti e le costanti alle opere di Beckett.
Nella prima sezione, il racconto delle messe in scena realizzate all’interno di Istituti penitenziari: nelle prigioni della mente e in quelle fisiche di Beckett si abbattono i muri, come si racconta nella versione “carceraria” di Aspettando Godot del 1957 del San Francisco Actor’s Workshop realizzato nel carcere di San Quentin. Così come nel lavoro di Gianfranco Pedullà nella Casa Circondariale di Arezzo (L’Apocalisse secondo Beckett, 2004) o di Armando Punzo con la Compagnia della Fortezza di Volterra (Un silenzio straordinario, ispirato a L’Ultimo nastro di Krapp, 2008) fino a Claudio Collovà con i ragazzi del Centro di Giustizia Minorile di Palermo (Eredi, 1998).
Un’altra interessante sezione della mostra evidenzia un teatro dal tratto astratto nel quale sono racchiusi i personaggi beckettiani assolutamente inconsapevoli. Si attraversano così le prigionie fatte di voci infernali che echeggiano dentro la mente, per arrivare a quelle “estreme” confinate all’interno dello spazio bidimensionale delle immagini tv, culminate nel 1981 con Quad, scritto per la televisione.
Nell’ultima sezione, uno spaccato sul dopo Beckett con uno sguardo sull’opera dello scrittore per mani di altri autori o registi, a cominciare da Susan Sontang che fu la prima a tuffarsi letteralmente nelle macerie mettendo in scena Aspettando Godot nel 1993 nella Sarajevo ancora assediata. A seguire Pippo Delbono con Barboni del 1997, la versione in dialetto calabrese U juocu sta’ finisciennu di Giancarlo Cauteruccio del 1998, e ancora per i giovani della “generazione perduta” Endgame di Makoto Sato del 2006, oppure davanti agli sfollati dell’uragano Katrina a New Orleans (2007), in mezzo alla manifestazione Occupy Wall Street (2011) e persino appena fuori dalla zona d’evacuazione della centrale nucleare di Fukushima (2011).
La mostra sarà inaugurata il prossimo 6 novembre con inizio alle 11,30.
Emilio Buttaro