Certe personalità usano la rabbia per scardinare pregiudizi e luoghi comuni, per battersi contro le discriminazioni. Questo concetto calza a pennello per Muhammad Ali, il pugile che riuscì a battere tutti i record ma che si distinse per essersi schierato in prima persona per i diritti degli afroamericani. I tanti volti di Cassius Clay – come si chiamava Muhammad Ali prima della conversione all’Islam – sono al centro di una mostra allestita a Firenze dal 6 ottobre. Si tratta di un’esposizione che comprende 20 fotografie realizzate da 12 importanti fotografi, quali Carl Fisher, Thomas Hoepker, Annie Leibovitz, Briam Hamill, Yousuf Karsh, Neil Leifer, Terry O’Neilll, Gordon Parks, Lawrence Schill, Carles Trainor, Flip Schulke e Marvin Newman.
La mostra, che s’intitola Muhammad Ali_impossibol is nothing, è un insieme di scatti che pone in evidenza la vita e l’attività agonistica di un uomo che nel 1960 ebbe il coraggio di gettare l’oro olimpico, conquistato a Roma, nel fiume Ohio, come segno di protesta per le discriminazioni razziali subite dagli uomini e dalle donne di colore in America. Le sue imprese agonistiche nella boxe sono note ai più. Alì, che optò per l’attivismo di Malcolm X, ottenne il titolo mondiale di pesi massimi, dal 1964 al 1967, dal 1974 al 1978. 56 vittorie su 61 incontri. «I miei nemici sono i bianchi, non i Vietcong», disse quando ebbe la chiamate alle armi per la Guerra del Vietnam. Per lui, gli asiatici erano le vittime sacrificali di un sistema che vedeva l’America come gerarca indiscutibile. Disertò le armi e per questo fu duramente punito ma non smise mai di credere che nulla fosse impossibile.
La mostra di Firenze su Muhammad Ali documenta questo e altro ancora. Curata da Luca Simonetti, l’esposizione è un viaggio che ci permette di capire un po’ di più la personalità di quest’atleta dal talento indiscutibile che continuò il suo impegno politico sino alla morte. Anche sui Musulmani e sull’Islam ebbe molto da dire ribadendo che l’Islam non è né violento né votato al martirio né alla conversione forzata. La mostra è visitabile sino al 22 novembre 2016 presso la Galleria Snaphotograph, in via Borgo Santi Apostoli 12, al primo piano dell’edificio.