Intervista a Palma Lavecchia, autrice del romanzo “Mi chiamo Beba” (se un uomo ti picchia non è mai per amore), edito da Infinito Edizioni
Palma Lavecchia è una scrittrice di Barletta, che in questo periodo sta presentando il suo secondo romanzo in giro per l’Italia, da Nord a Sud. Il titolo del libro è “Mi chiamo Beba” (se un uomo ti picchia non è mai per amore) e affronta, come si può facilmente dedurre, una storia imperniata sull’ormai quotidiana, triste realtà della violenza di genere. Il 22 marzo è giunta a Roma per la sesta tappa di presentazione, affollatissima, che si è svolta nella Galleria “Il mondo dell’arte” in via Margutta. E’ lì che l’abbiamo raggiunta per un’intervista.
Palma, questo è il Suo secondo romanzo. Nel primo (Parliamone ancora) una storia familiare toccante, anche commovente direi. In questo secondo, e il sottotitolo ce lo fa capire subito, siamo sempre in famiglia ma nel modo peggiore. Da dove nasce l’esigenza di costruire un romanzo su un argomento purtroppo così attuale?
Nasce dal fatto che troppo spesso ci permettiamo giudizi dall’esterno: roba del tipo “Ma perché non lo lascia?”, “Perché si ostina a stare con lui e a farsi trattare così?” Allora ho pensato che, forse, calandomi in un personaggio che quel determinato dramma lo vive, avrei potuto capire molte più cose di lei. E, in effetti, così è stato. Sembra scontato dire che se un uomo ti picchia non è mai per amore, ma in effetti non è così evidentemente, altrimenti il fenomeno non sarebbe così dilagante.
Chi è Beba?
Beba è una ragazza normalissima. In realtà si chiama Benedetta, Beba diventa il suo nome dal momento in cui riuscirà a dare un taglio al suo passato doloroso. Lo farà in varie tappe, ma non voglio svelare più di tanto quel che accade nelle pagine del libro.
So che ci tiene molto a precisare che non si tratta di un libro rivolto soltanto alle donne.
Sì, assolutamente! Tra l’altro, sto ricevendo anche molti consensi positivi dal pubblico maschile, quindi ci tengo a precisare che non è un libro per donne, anche perché vi si innestano vicende di molte figure maschili, con tutta una loro particolare storia. Il mio sforzo, e credo di esserci riuscita, è stato quello di raccontare una storia difficile, così come tante ce ne sono in giro, ma riuscendo a farlo nella maniera più semplice possibile, perché potesse leggerlo senza problemi l’adolescente o la persona più adulta, con un livello culturale variabile o un credo religioso qualunque. Perché quello della violenza di genere è un problema trasversale. E io a questo ho pensato quando ho scritto “Mi chiamo Beba”.
Scrittrice in ascesa, ma anche Capitano dell’Arma dei Carabinieri e mamma di due figli piccoli. Come vive le continue notizie delle violenze tra le coppie e, aggiungerei, quelle in aumento anche tra gli adolescenti?
Li vivo con la consapevolezza di appartenere ad un momento storico difficile, e che quando i miei figli arriveranno all’età dell’adolescenza lo sarà ancora di più. Guardando certi adolescenti di oggi, sembrano svuotati di ogni contenuto, di ogni interesse, di ogni passione, e quindi quel cumulo di energia, fisiologica a quell’età, non potendosi trasformare in creatività, diventa violenza che sistematicamente esprimono sotto diverse forme. E’ una situazione decisamente allarmante.
Ho l’impressione, mi dica se sbaglio, che le forze dell’ordine siano impotenti di fronte al profilarsi, a volte evidentissimo, di questi casi di cronaca in cui sono vittime quasi sempre le donne. E’ un problema che può risolversi solo culturalmente?
Assolutamente sì. Noi possiamo offrire la prima significativa interfaccia, favorire quella macchina di strumenti che consentiranno al giudice di adottare dei provvedimenti, siamo strumentali alla tutela della donna. Ma uno smorzamento del fenomeno dovrebbe avere origine soprattutto in un sostanziale cambiamento culturale. Bisogna anche tener conto che ogni violenza va contestualizzata rispetto all’ambiente in cui una persona cresce. La mia percezione di violenza può essere diversa da chi nasce e cresce in un ambiente dove questa è all’ordine del giorno. Questo è poi un periodo di grandi cambiamenti socio culturali…ci sono tante sfaccettature del problema, che ho cercato di raccontare nel mio libro.
Dalla sua esperienza, Lei è anche Ambasciatrice del Telefono Rosa, cosa dovrebbe fare una donna alle prime avvisaglie di comportamenti violenti in famiglia?
Una donna che vive situazioni simili a quella di Benedetta – Beba, dovrebbe cercare un riferimento esterno in grado di conquistare la sua fiducia. Oggi nelle caserme e nei commissariati, nei Servizi Sociali o nelle associazioni dedicate ce ne sono molte. Una donna che, come farà Paola, l’assistente sociale nel romanzo, con Benedetta, possa accompagnarle con convinzione e consapevolezza verso un percorso di ricucitura degli strappi e di risalita.
Veniamo a Lei. Come è nata la Sua passione travolgente per la scrittura? Ha avuto un modello di riferimento, quando ha iniziato?
Ho sempre scritto, fin da quando ero bambina. Ma mai avrei immaginato di poter riuscire a scrivere un libro. Invece, in autunno è prevista l’uscita addirittura del terzo, a dimostrazione del fatto che, spesso, i nostri sogni sono più a portata di mano di quanto non si pensi. Modelli di riferimento precisi non credo di averne avuti, e tra l’altro ho fatto un percorso di studi che non mi ha trasmesso neppure una precisa preparazione culturale in questo senso. Però ho sempre letto di tutto, con un particolare occhio agli scrittori latino americani, di cui mi affascina quella capacità descrittiva e la dimensione sospesa tra onirico e reale.
Continua il suo tour di presentazione?
Sì, le prossime tappe le faremo a Montella, in provincia di Avellino, poi andremo a Trieste, Caserta, una sicuramente in Puglia e altre sono da decidere.
Grazie per questo incontro e buon proseguimento, allora. Aspettiamo in autunno il terzo romanzo!
Grazie a Cultura & Culture per avermi dedicato uno spazio. Svolgete un servizio prezioso, non lo dico solo perché mi consentite di parlare del mio libro. Vi seguo, ogni tanto, e devo dire che date un taglio particolare ai vostri articoli, che non si legge comunemente. Contenta di apparire sulle vostre pagine!
Paolo Leone