L’Alzheimer è una malattia degenerativa del cervello, le cui cause sono ancora oggi sconosciute. Non esiste attualmente una cura per questa patologia, che cambia completamente la vita del “malato” e della famiglia. Flavio Pagato è uno scrittore eclettico, che è nato e vive a Napoli. Nel suo ultimo libro “Perdutamente” (Giunti editori – pp. 240 – euro 12 – e-book 6,99 euro) racconta, con sensibilità e ironia, una storia vera e coinvolgente. La sua storia o meglio quella di sua madre, malata di Alzheimer, che con il trascorrere del tempo diventa una bambina.
“[…] Era venuto il momento di darci il cambio alla maniera dei ciclisti, che si alternano a tirare in testa al gruppo. Adesso toccava a me diventare suo padre […]”.
Lo scrittore partenopeo spiega a Cultura & Culture che ha deciso di narrare la sua esperienza privata per istinto di sopravvivevenza: «L’urto di certe emozioni è forte, e bisogna trovare il modo per elaborarle – sostiene -. Del resto sentivo che la nostra esperienza era già una “storia” in sé, qualcosa che aveva soltanto bisogno di un medium per diventare romanzo. Il fatto poi che “Perdutamente” sia una storia vissuta, mi ha permesso di scrivere senza pietismi e senza moralismi, senza paura di usare tutti i registri, da quelli drammatici a quelli comici. In fondo “Perdutamente” è un libro dove il confine tra realtà autobiografica e invenzione letteraria si è smarrito completamente, un po’ come avviene nell’Alzheimer». Una malattia che porta via un’intera esistenza e che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Alzheimer Disease International, nel mondo ha colpito 36milioni di persone; 1milione solo in Italia, tuttavia oggi è impossibile fare una dignosi certa. «Alla fine le “diagnosi” sono soltanto parole, e quello delle parole può diventare un labirinto di specchi dove è spiacevole perdersi. Davanti non abbiamo un “malato” e una “diagnosi”, ma una “persona” e una “realtà”: ed è questo ciò che dobbiamo affrontare realmente», sostiene Pagano.
Ma come convivere con i sintomi della patologia, come per esempio la tendenza del “malato” ad abbandonare la propria abitazione o a essere aggressivo, senza perdere di vista che siamo di fronte a quella persona che ci ha cresciuti e a cui vogliamo un gran bene? «Lo sforzo che dobbiamo fare, è quello di essere noi a seguire la persona colpita dalla demenza, e non pretendere il contrario. Siamo noi che dobbiamo sostituire, finché è possibile, la memoria che a lei manca. E siamo noi che dobbiamo restituire, nel caso di una madre o di un padre ammalati, tutto l’amore che abbiamo ricevuto. Dobbiamo farlo per loro, ma anche per noi stessi. Perché solo andare fino in fondo dà un senso alla vita», sostiene l’autore di “Perdutamente”, la cui storia si svolge in una Napoli convulsa, una grande metropoli che preserva ancora le caratteristiche di un paese. Eppure il Sud è carente di strutture che intraprendono percorsi alternativi per i familiari e i malati, come per esempio la musicoterapia. Le famiglie vengono inoltre abbandonate a loro stesse e quindi anche ottenere la pensione d’invalidità diventa un’impresa non da poco: «Purtroppo Napoli stessa ha l’Alzheimer. È una città smemorata, irascibile, enigmatica… Ed è un pericoloso modello per tutto il Paese – continua lo scrittore partenopeo -. L’Alzheimer consuma, corrode, svuota la vita, lasciando solo il guscio. Ciò di cui la persona ammalata ha bisogno è ciò che serve anche a noi: è amore, attenzione, qualcuno che ci ascolti e ci sorrida. Quanto alle problematiche pratiche della gestione dei malati, e a interlocutori come l’Inps, devo dire che la situazione a me è sembrata disastrosa. La Sanità italiana tutta, e in particolare nel Sud, è in condizioni pietose. E uno dei problemi più grandi, è anche uno dei più odiosi: i falsi invalidi. Criminali che succhiano il sangue all’intero sistema di assistenza, lasciando a secco chi con quel sussidio deve sopravvivere».
“Perdutamente” è un percorso di riscoperta di se stessi e dei rapporti con gli altri componenti della famiglia. Un momento doroso ma catartico che si mette in moto grazie alla lettera che la madre scrive ai propri figli, esprimendo l’amore che fino a quel momento aveva espresso soprattutto con i gesti. «Nel libro racconto la storia di un viaggio che comincia quando tua madre non ti riconosce più, e sei davvero solo al mondo. Lì, realmente, la nostra storia comincia».
L’Alzheimer di un nostro caro, come sostiene Flavio Pagano, è dunque una vera occasione di crescita e di miglioramento per tutte le persone coinvolte. Questa “malattia”, i cui approcci medici forse andrebbero completamente rivisti, va accolta con la consapevolezza che l’ammalato vive in un’altra dimensione, che non è la nostra. L’Alzheimer dopotutto è solo una parola coniata dall’uomo, che oggi più di ieri rinnega il processo d’invecchiamento e la morte per catalogare ciò che invece non può essere spiegato…
Maria Ianniciello