In attesa della premiazione ufficiale, che si terrà venerdì 19 aprile alle 17.30 presso il Circolo dei lettori di Torino (via Bogino 9), l’Associazione per il Premio Italo Calvino ha reso noti i nomi degli otto finalisti di questa ventiseiesima edizione.
Si tratta di Domenico Dara (autore di Breve trattato sulle coincidenze), Carlo De Rossi (Il ventre della regina), Andrea D’Urso (Nomi, cose, città), Marco Magini (Come fossi solo), Francesco Maino (Cartongesso), Stefano Perricone (La donna dell’uomo che girava in tondo), Simona Rondolini (I costruttori di ponti) e Carmen Totaro (Le piene di grazia).
Otto romanzi, quindi, che il Comitato di lettura ha selezionato tra i cinquecentosettanta in corsa per il premio 2013. «Si tratta in genere di testi complessi, di inconsueto valore e di indubbia originalità – spiegano dal Premio – tanto che talora non si può neppure parlare di romanzo, ma sicuramente di letteratura.
È il caso, ad esempio, di Cartongesso, un’appassionata invettiva – raccontano – contro il degrado antropologico, paesaggistico e linguistico dell’odierno Veneto ex miracolato, che trova inedite forme espressive nelle quali i vari registri si fondono e si confondono. Emergono qui spezzoni e frammenti di dialetto, così come in altri due testi: il Breve trattato sulle coincidenze e Le piene di grazia».
Il primo dei due è, stando a quanto anticipano dal Premio Calvino, l’opera forse più lieve e garbata, percorsa da carsiche nostalgie. Un postino, amante di cabalistiche coincidenze, cerca di intervenire nelle vite degli altri, alleviando sofferenze e favorendo amori, in un paesino calabrese un po’ fuori del tempo.
«Le piene di grazia – continuano – è invece un testo di potenza drammatica e di azione condotta all’estremo. Parte da un fatto di cronaca nera e si snoda colmo di efferatezze: l’osceno è in scena in una Puglia dall’aura criminale, dove la criminalità si insinua nelle pieghe del quotidiano. Ciò che dà un tocco singolare, e insieme spaesante, al testo è la grana gelidamente oggettivante della scrittura, pur nella sua postura femminile».
La protagonista de I costruttori di ponti è, invece, di famiglia altoborghese e rappresenta «un perfetto esempio – spiegano – del complesso di Elettra: ama il padre e odia la madre. Sempre la protagonista realizza dapprima una full immersion nella musica di Mahler eseguita dal padre direttore d’orchestra, per poi annullarsi in una macabra esperienza lavorativa. Solo alla fine riuscirà a recuperare un incerto e fragile equilibrio».
Venendo a La donna dell’uomo che girava in tondo, si tratta di una sorta di parabola in cui la protagonista, prima bambina poi adulta, dopo una serie di peripezie viene rigettata nell’ingrata situazione di partenza. Brancola nel buio, poi, anche il narrante de Il ventre della regina, «un educatore che cerca la propria via d’uscita in una caleidoscopica assunzione di maschere e di esperienze, spesso a sfondo spesso erotico, fin quasi a perdere la nozione del sé. Sempre professionista del sesso è lo gigolò le cui avventure sono narrate in Nomi, cose e città». Donne mature, più o meno abbienti, lo vedono come lo strumento per realizzare i loro inconfessati desideri o magari semplicemente il loro inconfessabile desiderio di affetto.
Ed è, infine, il genocidio di Srebrenica al centro dell’ultimo romanzo in finale, ossia Come fossi solo. Un massacro, quello bosniaco, che nel testo viene raccontato attraverso tre personaggi: un giudice del Tribunale penale internazionale, un soldato olandese del contingente Onu di interposizione e un miliziano serbo-bosniaco. «La forza del libro – concludono – è nella materia stessa e nell’abilità dell’autore di penetrare nelle tre psicologie con somma sinteticità. Riuscitissima la rappresentazione della violenza etnica, cui tutti sembrano destinati a subordinarsi, in un vortice di ataviche pulsioni e di cedimenti della volontà».
L’appuntamento con la cerimonia di Premiazione è fissato, quindi, per venerdì prossimo a Torino.