I racconti di Cultura & Culture.
Silvia, prima di svegliarsi, sentì il suono del mare infrangersi contro la costa. Le onde erano impetuose e forti, proprio come le emozioni provate da sempre. Rabbia e gelosia bussavano quotidianamente sin da bambina alla sua porta ma lei cercava invano di tenerle a bada. Non ci riusciva. Le ingiustizie subite, vere o presunte, pesavano sul suo cuore come un macigno. Non che le persone verso cui provava collera erano cattive per natura, ma forse erano solo indelicate, insensibili, con poco tatto. Accidenti a lei. Continuava imperterrita a giustificarle, oggi come ieri. Eppure le avevano fatto tanto male, prendendosi la briga di umiliarla e metterla a disagio. Silvia era una psicologa di successo, si era sposata giovanissima, eppure – nonostante fosse rimasta incinta subito – era riuscita a terminare gli studi, laureandosi nei tempi. Aveva coraggio da vendere e una forza d’animo che le permetteva di superare le sfide più difficili, tuttavia per quanto impegno ci mettesse e, nonostante avesse lavorato su se stessa per anni, non riusciva a costruire con suo padre un buon rapporto. Lui, malato di Alzheimer, viveva da anni in una clinica. Silvia cercava di provare per quel genitore, così assente e insensibile, un misto di amore e gratitudine. Tentava. Si forzava.
Senza risultati però, perché quei sentimenti che classifichiamo come buoni non si possono inventare. O li provi oppure no. E lei non li provava. Forse un tempo, quando da bambina sperava di ricevere un po’ d’amore e faceva tutto quello che suo padre le diceva di fare, cercando di assecondarlo, di compiacerlo, di essere quel figlio maschio che lui tanto desiderava. Durante l’adolescenza si era allontanata di casa e non lo aveva più visto sino a quando la madre, cinque anni prima, non aveva bussato alla sua porta con una diagnosi di Alzheimer. «Che cosa vuoi che faccia, mamma? Che mi occupi di papà? Che lo assista? Non puoi chiedermi questo. Lo aiuterò, non temere, ma non sarò la sua badante!», rispose lei senza mezzi termini. La madre era malata da anni e non avrebbe potuto prendersi cura dell’uomo che era stato suo marito per cinquant’anni. Ormai le restava poco tempo da vivere. Silvia si era presa cura del padre e, come aveva promesso alla donna che l’aveva messa al mondo, andava in clinica tutti giorni anche quando non aveva troppo tempo a disposizione, e gli leggeva delle fiabe. Lui la guardava negli occhi e le chiedeva: «Chi sei?». «Sono tua figlia!», rispondeva lei. Poi quella mattina una sorpresa.
Lui, anziché fare spallucce, disse: «Sì, sei la mia piccola. La figlia che ho sempre desiderato, l’unica e sola. Il mio unico e grande amore». La donna trasalì e abbracciò l’anziano genitore, grata per quel dono che Dio o chi per Lui le aveva fatto. La notte successiva fece un sogno: le onde s’infransero contro la costa, il mare si calmò, e quel cavallo imbizzarrito – che da anni vedeva, nei suoi sogni e nelle sue visualizzazioni, correre sulla spiaggia – rallentò per poi fermarsi. Dall’animale scese una signora bellissima e seducente con un abito rosso e i capelli nero corvino, che le rivelò di essere la dea del Vento che muove tutte le cose e che, per anni aveva mosso i suoi sentimenti, per farla diventare la Silvia di oggi, una Donna autentica che supera le apparenze, i pregiudizi e rende grazie alla Vita.
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