Vincenzo ha dodici anni e vive in un tranquillo paesino della Sicilia. E’ decisamente precoce e accarezza con allegra spavalderia i suoi primi pruriti sessuali. Trascorre le giornate a inseguire e importunare le cugine più grandi e a sbirciare le forme delle zie. Quando è in casa vive in simbiosi con il suo computer, alla frenetica ricerca di video porno e immagini erotiche con le quali trovare parziale soddisfazione alle sue crescenti smanie. Vincenzo abita in una mansarda con la madre e la sorella Agnese, altro suo sogno erotico che si trasformerà in dannazione, in terribile e soffocato rimorso. E’ forse proprio l’amore senza limiti e confini per la vita che lo trascina e chiude inesorabilmente in una trappola buia e deforme, dove il suo carnefice è l’insospettabile parroco del paese, padre Calogero. Vincenzo vivrà per mesi in una prigione fatta di silenzi, violenze e abusi sessuali che porterà alla rovina e al delitto.
Conosco l’amore meglio di voi (Codice edizioni), secondo romanzo di Andrea D’Agostino, triestino di nascita ma siciliano a tutti gli effetti, ha il merito di portare a galla e raccontare una realtà drammatica, spesso e volentieri sottaciuta, se non nascosta e ridimensionata, soprattutto quando il demone del male mette radici nella Chiesa. Non sorprende e, purtroppo, non fa neanche più notizia la materia trattata, ma il coraggio dell’autore lascia comunque il segno. Perché alza il velo su ipocrisie e maldicenze, soprusi e silenzi imposti e accettati, con una storia che inquieta e mette in discussione la nostra società, il nostro modo di scegliere e vivere. Nei capitoli del romanzo si alternano e confondono, come il passato e il presente della sua sbrindellata vita negli occhi e nella testa del protagonista, letture profonde e introspettive dell’animo umano e analisi collettive che, alla fine, non salvano nessuno dei protagonisti del libro. Lo stile dell’autore è incalzante e avvolgente, in alcuni passaggi, anche quelli più drammatici, quasi musicale, in un crescendo che colpisce duro e confina il lettore in un angolo, costretto a fare i conti con uno dei lati più crudi e oscuri dell’essere umano che si fa despota, bestia, carnefice. L’autore lascia poco spazio all’immaginazione anche quando l’orrore degli abusi diventa invasivo, maleodorante, inaccettabile e si affida, non di rado, al dialetto, se non al turpiloquio tranciante e senza speranza che sembra chiudere a doppia mandata ogni spazio alla vita e la speranza. Ne viene fuori un testo inquieto, colmo di brutali notizie di cronaca nera che rimbalzano dal 1986, anno turbolento in cui un reattore di Chernobyl sta per saltare in aria e il colonnello Gheddafi punta dritto i suoi missili su Lampedusa. E’ un mondo cupo, che prova a scrollarsi di dosso la paura e a guardare avanti, anche in un angolo insignificante di una Sicilia bella e distratta, lenta e addormentata, ma terribilmente viva nei colori e nelle voci dei protagonisti. E non aiuta a ritrovare aria e luce neanche il profilo del protagonista, non certo simpatico, e men che meno bello. Il punto di svolta del racconto è l’abbandono del padre che, andato al lavoro, non tornerà più a casa.
Vincenzo, libero e selvaggio, sarà così affidato alle cure del malefico parroco, accolto dalla famiglia come un salvatore, come la guida spirituale per il precoce fanciullo. Sarà la sua irrefrenabile pulsione sensuale a condannarlo all’isolamento, al giudizio bigotto e limitato dei suoi compaesani che sceglieranno di salvare il loro amato parroco. Vincenzo resterà solo con il sofferto ricordo della sorella e gli incubi di un passato lungo 25 anni che ritorna, di tanto in tanto, minaccioso. Il finale, decisamente a sorpresa, lancia uno squarcio di luce in un paese dove, al di là delle apparenze e delle mezze soluzioni di facciata, nessuna merita la redenzione. Forse solo la nonna che, in una delle poche parentesi tenere del romanzo, farà emergere a fatica la sensibilità e la struggente nostalgia del nipote.