Ci sono libri che, inaspettatamente, sorprendono a tal punto che dispiace quando si arriva all’ultima pagina, ma di cui si serba un così dolce ricordo, una così tenera sensazione di grazia, che subito si ricomincerebbe a leggerli sin dalla prima riga. E’ il caso di ScarpeDiem (Teke Edizioni), il libro di racconti brevi di Pino Ammendola. Notissimo volto televisivo, attore, prolifico autore e regista teatrale, doppiatore, Pino accarezza l’anima con le sue sette storie, dove protagoniste, in qualche modo, sono sempre le scarpe. Femminili ma non solo. Non è un feticista, ma con la sua arguzia di autore e di attento osservatore dell’umanità che ci circonda, con i suoi racconti scritti nell’arco di vent’anni, fa di questi “accessori indispensabili”, la chiave di lettura del reale. Lo abbiamo incontrato, con reciproca allegria, al Salone Internazionale del Libro di Torino, da poco conclusosi. «Eh sì, le scarpe sono l’elemento di contatto con il pianeta, ma anche di separazione», ci ha detto Pino Ammendola nel caos dei padiglioni del Lingotto, «Scarpe protagoniste, non antropomorfizzate, ma chiavi di lettura del reale da un’angolazione diversa. Le scarpe, come dico sempre, sono le nostre piccole macchine per il viaggio quotidiano, con cui attraversiamo la vita ogni giorno. Poi io sono napoletano, e per me le scarpe raccontano molto delle persone che le indossano, non sono soltanto un accessorio, ma evidenziano la nostra personalità. Noi abbiamo da sempre un’attenzione particolare per le scarpe, tant’è che si dice che un napoletano povero può avere un vestito liso, ma le scarpe sono lucide! Sì, mi affascinano molto le scarpe e raccontare realtà partendo dal punto di vista delle scarpe mi stimolava». C’è tanta vita nei suoi racconti, tanta luce, anche in quelli più tristi o che potrebbero far presagire un finale drammatico. C’è l’amore per la sua terra, c’è il colore del mare tanto amato (Pino è un appassionato di navigazione a vela), c’è l’attenzione per gli esseri umani, per il reale e per la fantasia. Reale e surreale, concretezza e fantasia. Ma quello che più colpisce durante la lettura, è la delicatezza delle situazioni raccontate, l’amore per i particolari, la tessitura narrativa dell’autore che riesce ad appassionare senza essere contorto. La genesi di ogni racconto è descritta in calce allo stesso, un espediente molto interessante, che ci fa capire quanto la vita di ogni giorno possa essere ispiratrice. «Certo, è proprio così. Considerate che questa mia piccola raccolta di racconti nasce dal fatto che all’inizio della mia carriera io scrivevo per altri…facevo quello che in gergo viene definito il negro, cioè scrivevo su commissione», continua Ammendola: «E avevo scritto un racconto al femminile. Il committente mi disse che non andava bene perché secondo lui le donne non ragionavano in quel modo. Come? Me l’avesse detto una donna l’avrei accettato, ma da lui no! Me lo ripresi e non glielo consegnai più. Proprio da allora cominciò la mia libertà autoriale, firmando in prima persona. Poi quel primo racconto capitò nelle mani di Stefania Casini che dirigeva un giornale femminile, Elle, le piacque molto e lo pubblicò con successo. Molti anni dopo degli editori se ne accorsero, me ne chiesero altri, e pian piano nacque questo libro che nel suo piccolo sta andando molto bene. Non con i numeri di un Gramellini chiaramente, ma sono molto soddisfatto». Promuovere una creatura editoriale in un ambito come quello torinese è sempre una grande emozione. «Io sono un amante del libro e qui se ne celebra la festa. Dico sempre che i libri sono le ultime astronavi di cui disponiamo, mezzi che ci permettono di viaggiare nel tempo e nello spazio a un costo minimo. Non dobbiamo schiacciare nemmeno un bottone, basta girare pagina e si parte! Il teatro richiede un impianto più grosso, il libro lo porti in tasca e con lui vai dappertutto, sogni, cavalchi su un ippogrifo, senza limiti. Il Salone del Libro è il Salone del sogno, in qualche modo».
ScarpeDiem di Pino Ammendola – giunto alla seconda edizione – emoziona, diverte, commuove, sorprende. Nessuno dei sette racconti è inferiore all’altro e ognuno ha in sé tanta poesia. La poesia e il mistero dell’esistenza, non sempre sorridente ma mai disperata, vista con gli occhi di chi, attore e autore, è abituato a vivere e restituire con generosità il vissuto al suo pubblico, su un palcoscenico come nelle pagine di un libro o di un testo teatrale. Preceduti dalla bella prefazione di Renzo Arbore, i sette racconti testimoniano anche l’amore di Ammendola per la sua Napoli, la sua struggente malinconia per una città prima che questa, come lui stesso scrive nella nota in calce all’ultimo emozionante, magico e commovente racconto, Sandali capresi, “cominciasse a ferire a morte tutti quelli che l’amavano” . Un libro ricco di umanità e di sfumature interpretative, con un taglio cinematografico ben delineato che, come le barche tanto amate dall’autore, rolla tra il mistero e la quotidianità, per approdare nel porto delle emozioni. Ma mai, mai senza scarpe.
Paolo Leone