«Sono nata a Roma, in una villetta rosa, dietro piazza Cola di Rienzo, a circa trecento metri dalla casa dove vivo tuttora. Mentre nascevo, nella camera volava insistentemente un moscone. Mio padre, Federico Wertmüller, nonostante fosse uno spirito laico, non portato alla parapsicologia, pensò che un oggetto di dubbia consistenza e di dubbia provenienza come l’anima di un defunto si fosse materializzato in quell’insetto, e che si trattasse di suo suocero, il cavalier Arcangelo Santamaria Maurizio, morto lo stesso mese, in attesa di trasmigrare nella nuova Arcangelina (cioè la sottoscritta), non appena fosse stata deposta nella culla con un dito in bocca e un ciuffetto di capelli arruffati.» Non poteva che cominciare così, all’insegna di un ricordo bizzarro quanto surreale, la vita di Arcangela Felice Assunta Job Wertmüller von Elgg Esapañol von Brauchich, per tutti Lina Wertmüller. Esagitata e rompiscatole fin da bambina, ma già con una grande carica di simpatia, scopre giovanissima la passione per il teatro e in poco tempo, dopo essersi iscritta all’Accademia di Pietro Scharoff e aver collaborato con i migliori registi teatrali, da Giorgio De Lullo alla mitica coppia Garinei&Giovannini, diventa un vero e proprio «topolino da palcoscenico», allestendo scenografie, scrivendo copioni, pièce, commedie musicali. Sarà però il cinema a conquistarla e a renderla famosa in tutto il mondo: se con il film d’esordio, I basilischi, attira l’attenzione di pubblico e critica, è con Mimì metallurgico ferito nell’onore, Film d’amore e d’anarchia, Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto e tante altre pellicole che viene consacrata regina del «grottesco» (e non «della commedia all’italiana», come si ostina a precisare la diretta interessata). Senza dimenticare, nel 1976, Pasqualino Settebellezze, di cui Hollywood si innamorò perdutamemte: grazie a quel film, diventerà la prima donna nella storia del cinema a ricevere una nomination all’Oscar come miglior regista. Dietro i suoi inconfondibili occhialetti bianchi (se ne è fatte fabbricare cinquemila paia dello stesso modello), Lina Wertmüller ha saputo tratteggiare, con sguardo tagliente e acuto, un’Italia sempre in lotta con la propria identità: gaudente eppur cattolica, scugnizzo ma anche insopportabilmente borghese, metallurgica e padronale. In pagine ricche di humor e piene di energia, vengono raccontate le mille avventure professionali e umane, la fitta e gioiosa trama di incontri e amicizie (da Fellini a Zeffirelli, da Flora Mastroianni a Suso Cecchi D’Amico), ma soprattutto, illuminati dai colori vermigli e mediterranei della sua Roma accarezzata da ponentini e scirocchi, scorrono i fotogrammi di una vita intera trascorsa insieme al marito Enrico Job, lo studente di Praga («l’uomo più importante che mi sia capitato di incontrare»), scenografo e costumista, a fianco del quale ha condiviso davvero tutto, a cominciare dall’amatissima figlia Zulima, detta Maucì. Spiritosa e profonda, questa autobiografia conquista il lettore come un film avvincente e pieno di colpi di scena, anche perché Lina Wertmüller, donna caparbia, creativa, straordinariamente vitale, oltre ad aver galoppato felicemente il suo tempo dimostra di aver sempre cercato di camminare dal sunny side of the street, dal lato assolato della strada e… «onestamente» lei dice «mi è andata bene».
Lina Wertmüller, romana, ma discendente da una nobile famiglia svizzera (il suo nome completo è Arcangela Felice Assunta Job Wertmüller von Elgg Esapañol von Brauchich), oltre che a occuparsi di teatro e di tv, ha vinto i più prestigiosi premi cinematografici internazionali.