L’America fa mea culpa e riflette non solo sulla pena di morte ma anche sul senso della giustizia. Ed è proprio dagli Stati Uniti che arriva Il diritto di opporsi, una pellicola che crea un mix di tensione e rabbia. Il film non è toccante quanto Il miglio verde (1999) né coinvolgente come Il diritto di contare (2016) eppure con primi piani e controcampi il regista Destin Daniel Cretton smuove le coscienze.
Il diritto di opporsi: trama e recensione del film (podcast in calce)
Più vicino a Fino a prova contraria di Clint Eastwood, Il diritto di opporsi riesce a raccontare con estrema lucidità – seppur con qualche imperfezione – una storia di ingiustizia e razzismo che arriva dallo Stato più omofobo d’America: L’Alabama. Qui nel 1800 approdavano gli africani che poi venivano venduti al mercato degli schiavi per lavorare sui campi di cotone e tabacco.
Dal film emerge che le convinzioni sono dure a morire, perché restano impresse nella memoria collettiva di intere generazioni. La linea temporale è presto stabilita: siamo negli anni Novanta del secolo scorso, la battaglia per i diritti civili non si è completata ma molte cose sono cambiate.
In Alabama, tuttavia, su errati paradigmi vengono costruiti processi ingiusti e condannate persone senza prove adeguate solo per il fatto di avere un diverso colore della pelle. Se sei nero e povero, in questo Stato (almeno secondo quanto trapela dal film) rischi di finire nel braccio della morte. Ed è quello che accade a Walter McMillian (Jamie Foxx) arrestato con l’accusa di aver ucciso una donna bianca.
Bryan Stevenson e la storia di McMillian…
A prendere le difese dell’uomo e degli altri detenuti, che sono nel braccio della morte, è Bryan Stevenson (Michael B. Jordan), un giovano avvocato che si è laureato ad Harvard e che vuole dare un processo giusto a queste persone.
Ora, quanto la polizia locale americana possa essere corrotta ce l’ha mostrato tante volte la Settima arte in film come Serpico (1973) eppure non ci si abitua mai ai modi meschini di chi dovrebbe tutelare ogni cittadino e invece infanga le prove distruggendo la vita di un uomo perbene.
Ho accennato prima alla rabbia e al profondo moto di ribellione che Il diritto di opporsi potrebbe innescare nello spettatore. Non ho fatto, però, riferimento ad un’altra parola non meno importante che viene messa in risalto in tutto il film ed è la ‘speranza’. Ovvero quel sentimento nobile che ci permette di continuare ad avere una certa motivazione, a non lasciarci sfiorire, a vivere e a credere di potercela fare.
Nel film rabbia e speranza…
Ai detenuti del braccio della morte viene tolta proprio la speranza. Ingiustamente o giustamente questo poco importa. Perché tutti dovrebbero avere la facoltà di difendersi e quindi di sperare sino a prova contraria, sfruttando tutto ciò che la Legge mette a disposizione.
Se poi sei consapevole di non aver commesso alcun crimine, come nel caso di McMillian, alla mancanza di speranza si aggiunge anche un profondo senso di impotenza. Il regista e sceneggiatore prende comunque una posizione netta e si schiera contro la pena di morte facendoci vedere un unico punto di vista che è quello dei detenuti.
Ne Il diritto di opporsi s’intrecciano due o più vite parallele. Viene così messa in risalto un’unica grande storia vera, fatta di coraggio e perseveranza. Una vicenda che viene raccontata dallo stesso avvocato Bryan Stevenson nel libro che ha ispirato la trasposizione cinematografica e che in Italia è stato pubblicato da Fazi editore. (Marica Movie and Books)