I parabeni vengono utilizzati come conservanti nei prodotti cosmetici, nei prodotti farmaceutici e nei prodotti alimentari, i loro sali infatti hanno una forte azione batteriostatica, battericida e fungicida, preservano così il prodotto cosmetico dalla proliferazione di batteri e di muffe causata all’apertura e dal successivo utilizzo del prodotto. Essi assicurano che la qualità e le proprietà organolettiche del prodotto si preservino nel tempo, ma soprattutto garantiscono la sicurezza del prodotto evitando contaminazioni che potrebbero mettere a rischio la salute del consumatore. Un prodotto cosmetico contaminato, infatti, può causare irritazioni ed infezioni; le zone più predisposte sono il contorno occhi, ma anche tutte quelle che presentano delle lesioni. Prima di essere messo in commercio un cosmetico viene sottoposto a vari test microbiologici, tra questi quello più utilizzato è il Challenge Test, attraverso il quale si accerta che la carica batterica presente nel cosmetico sia nulla, solo allora questo può essere messo in commercio; tuttavia, una volta acquistato dal consumatore il cosmetico può subire contaminazione, non dimentichiamo infatti, che la maggior parte dei cosmetici in commercio sono costituiti prevalentemente d’acqua, un habitat ideale per muffe e batteri. La contaminazione successiva all’utilizzo può avvenire, ad esempio, attraverso l’inoculazione delle dita nel barattolo di una crema o ancora attraverso lo sfregamento sull’ascella di un deodorante roll on, essa quindi è inevitabile, per questo onde evitare di dover conservare il prodotto in frigorifero, pratica che ne renderebbe decisamente scomodo l’utilizzo, alle formulazioni cosmetiche vengono sempre aggiunti agenti presevanti, tra questi quelli più utilizzati sono gli esteri dell’acido para idrossibenzoico, più noti al grande pubblico con il nome di parabeni. Questi sono ormai da anni oggetto di controversia, infatti sebbene vengano ritenuti dalla letteratura, dalla farmacovigilanza e dalla cosmeticoviglianza, sostanze poco tossiche e ben tollerate, possono in determinati soggetti scatenare reazioni allergiche, per questo, al fine di ridurre le quantità da utilizzare e l’insorgere di eventuali reazioni allergiche, vengono utilizzate miscele contenenti varie molecole di parabeni a basse concentrazioni. Se prendete uno dei cosmetici a vostra disposizione potrete notare che sull’elenco degli ingredienti riportati sull’etichetta, i parabeni, quando presenti, si trovano quasi sempre nelle ultime postazioni, ciò sta ad indicare che in quella formulazione sono le sostanze presenti in minor quantità, per legge infatti, gli ingredienti di un cosmetico vengono riportati in etichetta in ordine decrescente. L’utilizzo dei conservanti in Italia è regolato dalla legge 713/86, che ha recepito la direttiva 76/768/CE e che l’11 gennaio 2013 verrà sostituita dal nuovo Regolamento n.1223, la normativa vigente in Europa è molto severa e prevede delle concentrazioni limite entro le quali i parabeni possono essere utilizzati. Per l’assenza di validi sostituti di origine vegetale, per l’assenza di odore e soprattutto per il loro basso costo, i parabeni sono stati e sono largamente utilizzati nelle formulazioni cosmetiche, tra questi quelli più usati sono il metilparabene, il butilparabene, l’etilparabene e il propilparabene, le cui proprietà antibatteriche sono legate alla capacità di legarsi alla membrana batterica alterandone le funzioni. Ma oltre ad essere spesso responsabili di fenomeni allergici, i parabeni sono stati messi sul banco d’accusa anche perché ritenuti responsabili dell’insorgenza del tumore al seno. Nel 2004, infatti, alcuni ricercatori dell’Università di Reading pubblicarono uno studio con il quale mettevano in relazione il cancro al seno, da cui erano state colpite le donne facenti parte di un campione preso in esame, con l’uso di deodoranti in cui erano presenti parabeni. Nonostante la non cancerogenicità dei parabeni fosse già stata appurata nel 1994, lo studio fu pubblicato e quindi divulgato, creando forti preoccupazioni nei consumatori, fin quando nel 2005 il SCCP, Comitato Scientifico per la Tutela del Consumatore, non tenne a precisare che lo studio condotto dai ricercatori dell’Università di Reading non era supportato da dati epidemiologici ed il numero dei soggetti presi in esame decisamente esiguo. Secondo questo studio la cancerogenicità dei parabeni dipendeva dalla capacità di questi di mimare gli ormoni sessuali femminili, gli estrogeni che, come risaputo, hanno un ruolo determinante nella proliferazione e differenziazione delle cellule del tumore al seno. La cosa che mi stupisce è che, dopo la presa di posizione da parte del SCCP, il team di ricercatori inglesi non abbia intrapreso un nuovo studio che, rispettando i parametri necessari a rendere valida la ricerca, convalidasse il risultato da loro precedentemente ottenuto. Auspicando che si compiano nuovi studi atti ad escludere la cancerogenicità dei parabeni, è bene porre l’attenzione anche sul possibile squilibrio del sistema ormonale causato dalla capacità dei parabeni di mimare l’attività degli estrogeni ed è per questo motivo che, riguardo il loro utilizzo, il SCCP, il Comitato Scientifico per i Prodotti di Consumo, ha stabilito due concentrazioni limite, la dose a cui non si osserva nessun effetto e la dose minima a cui si osserva l’effetto, ed è partendo da questi due dati che sono stati calcolati i margini di sicurezza di ogni molecola appartenente alla classe dei parabeni. A questo punto possiamo così riassumere quanto appena detto, i parabeni controllano la crescita dei microrganismi nei prodotti cosmetici; l’assenza di microrganismi è importante per la sicurezza dei consumatori, in quanto un prodotto mal conservato si può deteriorare ed essere fonte di infezioni per chi ne fa uso; i conservanti come i parabeni sono necessari, ma possono essere anche causa di reazioni allergiche e per questo la legge ne disciplina le tipologie e le quantità massime utilizzabili. Per minimizzare gli effetti indesiderati di queste sostanze vengono attuate varie strategie, una di queste è quella di ridurre il più possibile la loro concentrazione nelle formulazioni cosmetiche, ma anche l’utilizzo di packaging più sicuri, ad esempio quelli airless, che preservano il prodotto dall’azione dell’aria e dalla contaminazione dovuta all’utilizzo. Vengono inoltre usati i co-preservanti di origine naturale come l’estratto di semi di pompelmo, l’acido usnico ricavato dal lichene islandese, olio essenziale del timo, della lavanda e del limone, che oltre alla gradevole profumazione hanno anche una spiccata proprietà antisettica, ma spesso anche queste sostanze possono dar luogo a fenomeni allergici. Un’altra strategia può essere il cosmetico monodose in confezione sterile, poco diffuso, in quanto considerato antieconomico per le aziende produttrici e poco ecologico per la quantità di materiale necessaria al confezionamento di dosi limitate. Esistono poi i cosmetici autoconservati, ovvero che presentano proprietà, che ostacolano e rallentano la crescita dei microrganismi, ad esempio, i pH molto acidi o molto alcalini, che, anche se compatibili con determinati utilizzi cosmetici, rallentano la crescita dei batteri. Infine possono essere utilizzate sostanze che legano l’acqua, in modo che questa non sia più disponibile per la crescita batterica. La tendenza attuale è però quella di utilizzare molti conservanti di tipo diverso, ma in piccolissime dosi, in modo da ridurre la tossicità complessiva a parità d’effetto.
Doralda Petrillo