Il digiuno è una pratica antica che si ritrova in molte tradizioni occidentali e orientali, attuata ora per motivi religiosi, ora etici e sociali, ora terapeutici; in quest’articolo mi soffermerò su quest’ultimo aspetto, ossia sull’utilizzo del digiuno, in particolare del digiuno intermittente, a scopo terapeutico, cioè come strategia di intervento per migliorare la salute, proteggerci dall’invecchiamento, prevenire molte malattie, curare l’obesità. Già Filippo Paracelso, uno dei medici più illustri del Rinascimento, ai sui tempi scriveva: “il digiuno è il più grande rimedio, il dottore interiore”. E in effetti le sempre più numerose e recenti ricerche in merito lo stanno confermando. La maggior parte di queste sono partite dallo studio della restrizione calorica e dei benefici che essa determina, sia in riferimento al problema dell’obesità e del sovrappeso, sia sulla salute in generale. Da quest’evidenza gli studi sono poi andati avanti, fino a dimostrare che gli stessi effetti della restrizione calorica si ottengono parimenti con la pratica del digiuno, ed in particolare del digiuno intermittente, che di positivo, rispetto al precedente, ha quello di non essere un intervento molto drastico, di essere più sostenibile e (ancora più importante) di evitare molti degli effetti avversi della restrizione calorica cronica, in particolare la malnutrizione.
La pratica che rigenera corpo e mente
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Cosa si intende per digiuno intermittente
Il digiuno intermittente (IF) è un termine usato per descrivere una varietà di schemi alimentari in cui è prevista una riduzione dell’apporto calorico per periodi di tempo che possono variare da 12 ore fino a diversi giorni. Si parla di intermittenza in quanto tale pattern alimentare prevede l’alternanza di periodi di digiuno o di restrizione calorica (in inglese underfeeding) (per cui si intende il solo consumo di acqua e talvolta bevande a basso/nullo contenuto calorico come il caffè) e periodi di sovralimentazione (in inglese overfeeding) in cui vengono inseriti tutti i nutrienti della giornata.
La fase di digiuno coincide con il periodo post-assorbitivo, che, in pratica, inizia dopo che tutti i nutrienti ingeriti nell’ultimo pasto sono stati assorbiti o sono passati indigesti attraverso l’intestino. In dipendenza dal pasto, la fase post-assorbitiva può durare dalle 3-4 ore alle 7-8 ore, per questo motivo digiuni più prolungati richiedono una reintroduzione di nutrienti più cospicua.
Il Digiuno Intermittente dà il meglio di sé quando si segue un approccio integrato sul piano sia nutrizionale che di allenamento. L’optimum sarebbe un allenamento strutturato principalmente su esercizi multiarticolari indirizzati sia all’intensità (carico sollevato) che al volume (numero di ripetizioni totali con un dato carico), in modo da sfruttare al meglio l’utilizzo dei substrati energetici nelle fasi di underfeeding e il carico di nutrienti delle fasi di overfeeding, ottenendo il massimo in termini di ricomposizione corporea.
Esistono varie tipologie di digiuno intermittente; le tre filosofie principali da cui si diramano tutte le altre sono:
– Eat Stop Eat, di Brad Pilon;
– LeanGains, di Martin Berkhan;
– The Warrior Diet, di Ori Hofmekler.
Per conoscenza, ve le descrivo brevemente:
- Eat Stop Eat
Questo approccio implica semplicemente l’inserimento di 24-36 ore di digiuno totale per 1-2 giorni alla settimana. Il che significa inserire queste ore di digiuno totale nello schema dietetico abituale, senza modificare altro. Al termine di esse, si riprende a mangiare normalmente.
- LeanGains
Nell’approccio LeanGains ideato da Martin Berkhan, sono previste 16 ore di digiuno totale (in cui sono concesse solo bevande acaloriche e aminoacidi ramificati – BCAA) e 8 ore di sovralimentazione. In questa fase verranno consumati tutti i pasti e i nutrienti previsti dallo schema dietetico.
- The Warrior Diet
In un approccio di tipo Warrior Diet è prevista una fase di sotto-alimentazione che dura 18-20 ore, seguita da un unico grande pasto serale in cui verranno inseriti tutti i nutrienti della giornata. La differenza con gli altri approcci è che nella Warrior Diet la fase di undereating è in realtà uno pseudo-digiuno: sono concessi piccoli pasti a base di sole fonti proteiche magre (massimo 20 grammi per pasto), oppure di frutta secca.
Perché praticare l’IF?
Il primo motivo è la versatilità e l’efficacia: è versatile perché si adatta bene ai vari stili di vita, agli orari lavorativi, a chi fa sport, di conseguenza può rientrare nello stile di vita personale essendo un protocollo alimentare semplice da applicare, sostenibile ed efficace.
Ma il motivo più importante è legato ai benefici del digiuno intermittente: esso ha infatti effetti favorevoli sui parametri di salute e sulla composizione corporea, agendo positivamente sia a livello metabolico che neuroendocrino. Recenti studi hanno dimostrato che i regimi IF migliorano i fattori di rischio cardio-metabolici (quali insulino-resistenza, dislipidemia e citochine infiammatorie), diminuiscono la massa grassa viscerale, e producono livelli di perdita di peso simili ai classici regimi di restrizione calorica. Oltre agli effetti di perdita di peso e ai miglioramenti metabolici, sono stati descritti, inoltre, molti altri effetti benefici del digiuno terapeutico, tra cui: l’autofagia cioè l’eliminazione da parte del corpo delle cellule danneggiate (processo, questo, fondamentale per la riparazione dei tessuti), miglioramento del profilo dei lipidici plasmatici (acidi grassi e trigliceridi), dell’osteoartrosi, guarigione da tromboflebiti, ulcere dermiche refrattarie, e della tolleranza alla chirurgia elettiva. Da un punto di vista neuroendocrino il digiuno migliora il profilo degli ormoni che consentono un migliore controllo alimentare (- fame, + sazietà), inoltre migliora la palatablità verso il cibo e aumenta l’indice di gratificazione; il tutto si riflette sulla sostenibilità a lungo termine di questo approccio alimentare.
Un meccanismo chiave responsabile di molti di questi effetti benefici sembra essere il “capovolgimento” dell’interruttore metabolico (o switch metabolico). Per interruttore metabolico si intende il cambiamento preferenziale del corpo dall’utilizzo del glucosio come substrato energetico, all’utilizzo esclusivo degli acidi grassi e dei chetoni derivati dagli acidi grassi. Di rilevanza per la gestione del peso, questo interruttore rappresenta un passaggio dalla sintesi lipidica e dalla conservazione del grasso alla mobilizzazione di questo sotto forma di acidi grassi liberi (FFA) e chetoni che derivano dal metabolismo degli acidi grassi. I chetoni servono come fonte di energia per sostenere la funzione delle cellule muscolari e cerebrali durante periodi di digiuno e di esercizio fisico prolungato. Quindi, quando l’interruttore metabolico viene capovolto, la fonte di energia primaria per il corpo si sposta dal glucosio agli FFA derivati dalla lipolisi e ai chetoni del tessuto adiposo, che servono a preservare il muscolo. Per questo motivo, molti esperti hanno suggerito che i regimi IF possono avere un potenziale nel trattamento dell’obesità e delle relative condizioni metaboliche, inclusa la sindrome metabolica e il diabete di tipo 2. Il capovolgimento dell’interruttore metabolico si verifica tipicamente nella terza fase del digiuno, quando le riserve di glicogeno negli epatociti (le cellule del fegato) sono esaurite e l’accelerata lipolisi del tessuto adiposo produce un aumento di acidi grassi e glicerolo in circolo. Tutto questo si evidenzia tipicamente tra 12 e 36 ore dopo la cessazione del consumo alimentare a seconda del contenuto di glicogeno epatico all’inizio del digiuno e della quantità di dispendio energetico e/o esercizio individuale durante il digiuno.
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Come approcciarsi quindi all’IF?
Sfruttando il meccanismo del capovolgimento dell’interruttore metabolico qui descritto le fasi di digiuno e di non digiuno sono ben studiate e bilanciate per apportare effetti metabolici specifici (in particolare su quella che viene definita la “rete sensore dell’energia cellulare”). Praticamente si fa in modo di bruciare grasso nelle fasi di digiuno e costruire muscolo in quelle di nutrizione. Ecco quindi che per giovare dei benefici dell’IF non ci si può improvvisare ma bisogna conoscerne il funzionamento: come sempre la strategia migliore è quella quindi di consultare un esperto in materia.
Per chi vuole però iniziare a familiarizzare con la pratica del digiuno prima di intraprendere un percorso personalizzato a tutti gli effetti, il mio consiglio è quello di testare il proprio organismo iniziando con l’inserire 1-2 giornate di digiuno terapeutico a settimana (inizialmente distanziate ad esempio una il martedì e la seconda il venerdì, poi consecutive arrivando quindi a 48 ore di digiuno.) Per giornate di digiuno non intendo un digiuno totale e quindi la completa astensione da cibo, piuttosto un digiuno simulato o digiuno metabolico che consiste nell’ingannare l’organismo facendo in modo di attivare gli stessi segnali metabolici che si attiverebbero in caso di astensione dal cibo: questo si ottiene evitando tutti quegli alimenti che stimolano l’insulina, dunque carboidrati e zuccheri in genere, ma anche proteine. Ecco quindi che durante una tipica giornata di digiuno metabolico sono concessi piccoli pasti a base di sole verdure crude o cotte, (evitando i tuberi, come le patate, che sono ricche di carboidrati ad alto indice glicemico), passati, estratti o centrifugati (sempre a base di sole verdure) conditi con un cucchiaio di olio extravergine di oliva, limone o aceto, da consumare a pranzo e cena. In questo modo digiunare sarà più semplice perché almeno si conserverà l’idea del pasto.
Per massimizzare i risultati del digiuno è in sintesi consigliabile non assumere né cereali, né frutta, né proteine animali o vegetali, in modo da inibire il più possibile l’attività della via di segnale chiamata insulina/IGF1/mTOR: senza scendere troppo nel dettaglio della fisiologia, questa via non è altro che una sequenza di eventi molecolari importantissima per la riparazione dei tessuti ma che, se troppo attiva, può favorire l’invecchiamento e l’insorgenza dei tumori.
Di fondamentale importanza a partire già dai giorni precedenti e soprattutto durante il digiuno è quello di idratarsi abbondantemente, bevendo molto di più rispetto alla quantità di acqua normalmente consumata, considerando che durante il digiuno mangiando di meno verrà a mancare anche molta dell’acqua che normalmente assimiliamo dagli alimenti.
Una volta finito il periodo di digiuno è bene iniziare a rialimentarsi con estratti di frutta e verdura fresca, riprendere piano piano a mangiare i cibi solidi e comunque cercare di mantenere un’alimentazione regolata.
Ricordate infine che il digiuno per quanto benefico non è consigliato a tutti: è infatti da evitare in caso di gravidanza o allattamento, se si soffre di diabete o di altre patologie, se si è sottopeso o si ha una costituzione fragile. Se si tratta di un digiuno di un solo giorno i rischi non sono molti (a patto che ci si idrati abbondantemente) ma comunque è sempre bene chiedere il parere al proprio medico e ancor di più se si intende prolungare questa pratica per tempi più lunghi.
L’IF non va considerato un regime alimentare all’ultima moda, sebbene negli ultimi anni stia diventando molto popolare; al contrario si tratta di una pratica alimentare (e se vogliamo anche spirituale) a tutti gli effetti, basata su specifici meccanismi metabolici che richiede un certo grado di consapevolezza e di conoscenza per poter essere applicato in tutta sicurezza. Sperando di aver suscitato la vostra curiosità in merito all’argomento e di avervi fornito i preliminari dell’approccio al digiuno vi lascio con questa citazione:
“Gli uomini possono vivere con un quarto di quello che mangiano; sugli altri tre quarti vivono i dottori”
Dott.ssa Angela Pugliese, biologa nutrizionista