La Moda – vale a dire la mutevole forma che assume il corpo vestito – è paradossalmente misteriosa. Nessuno ha mai provato a cucire la sua avventura mondana al più ampio orizzonte culturale in cui si muove, al suo mistero, al suo essere, sempre e comunque, ombra sensibile del Tempo. Compreso fra artigianato e industria, fra commissione e ispirazione, fra dipendenza e indipendenza, il lavoro del sarto ha sofferto, da sempre, una sorta di esilio culturale e le conseguenze di una penosa autosvalutazione. Quirino Conti nel suo libro parte da questo oscuro patimento (comune anche a coloro che hanno conosciuto il successo professionale e il trionfo mondano) per riconciliare la moda all’arte e più ampiamente alla cultura, forte della consapevolezza che quello che vediamo e quello che crediamo di sapere è solo ciò che lo spettacolo della Moda ci lascia sapere e vedere. Si tratta di andare oltre questo miraggio e di ricollegare il “vestire” all’eredità del gesto con cui Dio – episodio invero poco noto della Genesi – consegna ad Adamo ed Eva due tuniche di pelle per uscire dal Paradiso. (“Gli abiti non ci appartengono, provengono infatti da un paradiso perduto.”)
Quirino Conti disegna i nessi storici che vedono la trasformazione del sarto in couturier, la bottega in atelier, il couturier in stilista, gli stilisti in fabbrica della Moda. Ricama fondamentali “considerazioni su una giacca”, divaga “sul leggero e sul pesante”, inventa categorie come “rottamatori”, “addobbatori”, “pleonastici”, “indistinguibili”, scrive pagine definitive sul “sesso della Moda” e raccoglie, come in una quadreria, ritratti memorabili di protagonisti memorabili: Balenciaga, Chanel, Saint-Laurent, Armani, Versace. E fa sentire, lungo tutto il percorso di queste “conversazioni”, come la Moda non sia altro che una continua postulazione di “modernità”, di uno stile che assomma e unifica reperti e intuizioni. La Moda è insomma ombra del Tempo. E a questa “ombra” Quirino Conti rende un tributo struggente di passione, immaginazione ed esperienza.