Lo svezzamento è senza ombra di dubbio uno dei momenti clou dell’alimentazione dei bambini, perché la sua buona riuscita influenzerà a tutti gli effetti le scelte e preferenze alimentari che compiranno quando saranno più grandicelli e autonomi, come già ho ampiamente parlato nell’articolo precedente su “bambini e verdure”. In questo nuovo articolo voglio però approfondire questo importante argomento che vuoi o non vuoi riguarda un po’ tutti, soprattutto le mamme: che cos’è e cosa non è lo svezzamento, quando è bene iniziarlo, in che modo… In particolare andremo insieme a svelare qualche concetto ormai obsoleto e a dimostrare che mai come in questa delicata fase dell’alimentazione dei bambini non esistono regole assolute, standard da seguire, ma con poche e cruciali direttive e tanto buonsenso, amore e libertà da parte del bambino stesso diventerà un passaggio naturale che parla di rispetto e pazienza, di accoglienza e scoperta, di istinto materno e amore incondizionato, a proseguimento del sentiero dell’allattamento già intrapreso.
Svezzare significa letteralmente “togliere il vezzo”, dove il termine vizio si riferisce -impropriamente- al latte materno, che etimologicamente viene quindi associato ad una cattiva abitudine da dover sradicare e far perdere al bambino. Tale termine risulta chiaramente del tutto inappropriato visto il valore inestimabile e indiscusso dell’allattamento, e inoltre lascia sottintendere un’altra associazione (anche questa da rivalutare) cioè svezzamento precoce = maggiore indipendenza. La spiegazione di tutto ciò ha radici storiche: per secoli, in periodo di carestia, il latte materno era a volte l’unica fonte di sussistenza per i bambini, che venivano per questo motivo allattati il più a lungo possibile, per far fronte alla miseria e alla difficoltà di procurarsi del cibo. Da qui quindi l’attribuzione impropria di “vezzo” a cui, a mio avviso, sarebbe meglio sostituire il termine “necessità”.
Andando oltre l’etimologia della parola, lo svezzamento è un mondo nuovo per il bambino, fatto di scoperta e impegnativo sia da un punto di vista psico-emotivo che fisico. Con lo svezzamento infatti chiediamo al bambino di entrare in un mondo nuovo e attivo, di sperimentare qualcosa di più del binomio fame/contatto rappresentato dal seno materno; lo rendiamo parte attiva del suo processo di crescita, attraverso un percorso che inizia con il graduale distacco dal seno (o dal biberon) per proseguire poi con lo sviluppo della sua autonomia e con il raggiungimento di un maggiore contatto con la Terra.
Ecco quindi che lo svezzamento non è solo e semplicemente il passaggio da un’alimentazione esclusivamente lattea ad una non lattea, da un’alimentazione liquida e dolce ad una solida e salata, ma significa anche distacco dal seno (o dal biberon) e quindi dalla mamma e ingresso nella realtà circostante. Lo svezzamento segna di fatto l’inizio di altri stimoli sensoriali per il bambino, diversi da quei pochi sperimentati nei primi mesi di vita: sapori, odori, tatto, temperature diverse, altri visi, altri modi, altri gesti, altri suoni…
Sembra quindi ovvio che trattandosi di un passaggio molto delicato e complesso, è bene che venga compiuto solo quando il bambino è realmente pronto. A tal riguardo l’OMS nelle nuove linee guide aggiornate ha ribadito che gli alimenti semi-solidi nell’alimentazione del neonato vanno inseriti dal sesto mese di vita in poi e non prima. Il motivo è chiaro: per poter adeguatamente mangiare e deglutire cibo solido e più consistente il bambino ha bisogno di poter stare seduto in posizione eretta (anche se con l’aiuto di un supporto) e di reggere bene la nuca e deve inoltre aver perso il cosiddetto “riflesso da estrusione” tipico dei neonati fino a circa i 6 mesi: si tratta infatti di un riflesso innato, necessario per la suzione, che consiste nel tirare fuori la lingua quando gli si tocca il labbro inferiore, cosa che però è estremamente pericolosa quando si tratta di dover masticare e deglutire cibo solido e che quindi potrebbe aumentare il rischio di soffocamento.
Infine è importante, per la buona riuscita dello svezzamento, iniziare quando il bambino comincia a manifestare un certo interesse e una certa curiosità nei confronti del cibo: lo potete facilmente capire quando notate che il bambino vi osserva masticare e vi imita (ricordate che i bambini agiscono sempre per imitazione), vuole stare seduto a tavola con voi e magari afferrare posate e piatti e addentare qualcosa. Sebbene ogni neonato sia unico e diverso da un altro e quindi non ci sia una data fissa, in linea di massima è dal sesto mese in poi che queste capacità iniziano ad essere acquisite e manifestate ed è quindi questo il momento ideale per intraprendere anche lo svezzamento.
Sempre per citare l’OMS, le linee guida ufficiali affermano che “il lattante a sei mesi è pronto a ricevere cibi solidi, in quanto in questa età si completa la maturazione intestinale e lo sviluppo neurologico consente di afferrare, masticare e deglutire in maniera efficace”. Fino ai sei mesi le stesse, raccomandano di mantenere l’allattamento esclusivo al seno, al fine di garantire al bambino una crescita ottimale, sviluppo e salute, e dal sesto mese in poi (se la mamma lo desidera) di mantenere comunque l’allattamento fino ai due anni di età e oltre, in abbinamento all’alimentazione complementare.
Molti pediatri sono tuttavia a favore dello svezzamento precoce a partire già dai quattro mesi: i motivi che vengono addotti a questa scelta si basano per lo più su alcune evidenze scientifiche che mostrano come lo svezzamento precoce di fatto presenti i vantaggi di favorire la stimolazione dei succhi gastrici e pancreatici e delle amilasi digestive, di promuovere l’immunità intestinale e di migliorare la funzionalità gastrointestinale e l’assorbimento dei micronutrienti. Questi stessi studi però dimostrano anche come un divezzamento precoce sia correlato ad un maggior rischio di intolleranze, allergie e sindromi autoimmuni da adulto. Si tratta quindi di vantaggi relativi che per quanto possano sembrare tali su certi aspetti, sul lungo termine arrecano più danni che altro.
Viceversa realmente effettivi risultano essere i vantaggi dello svezzamento tardivo:
- fino a sei mesi si mantiene il latte al seno (o artificiale) come unica fonte di nutrizione con tutti i vantaggi a questo annessi;
- minor rischio di intolleranze e allergie anche in età adulta;
- minor rischio di “incidenti” nutrizionali, quindi crescita regolare e minor stress dell’apparato digerente;
- latte = seno = mamma = sfera psicologica più salda;
- rispetto dei tempi fisiologi di sviluppo neuro-motorio del bambino.
Appurato quindi che il momento migliore per iniziare lo svezzamento è a sei mesi, vediamo di capire in che modo è opportuno farlo: quali alimenti proporre, in che modalità, con che frequenza per evitare rischi di ogni tipo, in particolare allergie. Faccio sempre riferimento alle linee guida dell’OMS: i primi cibi diversi dal latte possono essere frutta e verdure e successivamente carne e carboidrati. Le ultime evidenze scientifiche sembrano dimostrare che non è importante l’ordine con il quale vengono introdotti cibi solidi e semi-solidi, come invece i vecchi schemi di svezzamento (a mio avviso rigidissimi) imponevano, né tanto meno è fondamentale il momento della giornata nel quale proporre la pappa, ma è bene che siano i genitori, in base alla loro comodità e tempistica, a decidere.
Ciò che invece è raccomandato è di inserire i nuovi alimenti uno alla volta e di testarli per almeno tre giorni consecutivi così da capire se ci possono essere delle reazioni allergiche. Nel caso in cui il bambino rifiuti inizialmente un cibo proposto occorre essere pazienti, non insistere, né forzare, ma provare a proporlo nuovamente, magari sotto un’altra modalità, a distanza di qualche giorno. Ricordatevi che per il vostro bambino, lattante fino a pochi giorni prima, la nuova alimentazione è tutta una scoperta e più trova da parte vostra un atteggiamento calmo e positivo e un clima tranquillo intorno a sé, più verrà da egli affrontata con successo.
A tal proposito sebbene l’indicazione generale sia quella di offrire il cibo con un cucchiaino, è sempre bene consentire al bambino di toccare il cibo nel piatto e mangiare con le mani, così da assecondare la sua curiosità e favorire in lui lo sviluppo di consapevolezza e confidenza con il nuovo cibo. Inoltre è bene alternare diversi sapori, colori e consistenze, per evitare la monotonia dei pasti che oltre a non essere benefica per la salute del vostro bambino, abbasserebbe anche il suo interesse verso il cibo proposto. Entro i 9-12 mesi il bambino dovrebbe aver almeno assaggiato e sperimento un’ampia varietà di cibi e sapori, abituandosi progressivamente a consumare oltre al latte, altri due pasti principali (pranzo e cena) e uno-due spuntini.
A prescindere dunque dall’ordine, nel proporre i vari alimenti al bambino è bene evitare sempre ed in ogni caso:
- zucchero e sale (quindi anche insaccati industriali, snack, merendine e dolci industriali) i veri nemici dello svezzamento, che sicuramente non devono essere dati prima dell’anno di vita e che è bene evitare il più possibile anche dopo, per tutta l’infanzia, almeno fino ai 6 anni. Si tratta di cibi deleteri che creano assuefazione e dipendenza e alterano la percezione del gusto, compromettendo la buona riuscita dello svezzamento, il cui compito primario è tra l’altro quello di condurre il bambino ad una corretta alimentazione il più possibile mista e variata.
- Miele (per il rischio di botulino)
- Frutti di mare crudi
- Alimenti nostrani
- Bevande gassate (es. cola, aranciata…)
- Junk food
Una volta scelti gli alimenti giusti, un’attenzione deve essere ancora riservata a come si cucinano: le linee guida raccomandano di condire poco preferibilmente con olio extravergine di oliva a crudo, di non soffriggere l’olio e i grassi animali, di non usare il sale ma usare invece molte erbe e spezie crude, cioè aggiunte a cottura ultimata.
Si può iniziare a proporre come primo alimento la frutta grattugiata: mela, pera e banana sono l’ideale perché si prestano meglio, da inserire magari negli spuntini, ad esempio qualche cucchiaio a merenda. Dopo qualche giorno si può passare alla pappa vera e propria da inserire indistintamente a pranzo o a cena a seconda di quando voi avete più tempo da dedicare e meno distrazioni.
Qui è bene fare un appunto: meglio l’omogeneizzato/liofilizzato o la pappa fatta in casa? La risposta è senza ombra di dubbio la seconda: offrite al vostro bambino da subito alimenti preparati in casa da voi, in quanto se ben fatti sono nutrizionalmente equivalenti a quelli disponibili in commercio. Quest’ultimi infatti, per quanto comodi e comunque adatti, sono costosi e non forniscono alcun vantaggio nutrizionale (tranne nei casi in cui sia richiesta una fortificazione con micronutrienti), e tra l’altro contengono spesso addensanti, oli vegetali e amidi che sono tutt’altro che necessari per il bambino. Inoltre con la pappa fatta in casa siete voi a scegliere le materie prime da utilizzare: nel farlo ricordatevi sempre, e se possibile di rispettare, la stagionalità per frutta e verdura, garanzia di freschezza e completezza in nutrienti, puntate sulla qualità specie quando si tratta di carne e pesce, e scegliete preferibilmente alimenti biologici, vedrete nel tempo i benefici ottenuti in termini globali di salute del bambino.
Per la preparazione della pappa potete usare questa ricetta generale:
- 180-200 ml di brodo vegetale (fatto con sedano-carota-cipolla-zucchine)
- 2-3 cucchiai delle verdure usate per il brodo, frullate
- 3-4 cucchiai di cereale (crema di riso o mais o tapioca, semolino, riso, pastina… a seconda delle capacità di masticazione e deglutizione del bambino)
- Carne (prima bianca poi dall’ottavo mese anche rossa in quanto richiede una maggiore masticazione e quindi la presenza di più denti) o legumi o pesce o uovo (solo tuorlo fino ai 12 mesi) secondo il fabbisogno, e comunque da aggiungere un po’ per volta, meglio se nell’ordine in cui li ho elencati, e in forma omogeneizzata (quindi frullata)
- 1-2 cucchiaini di olio extravergine.
Man mano che il bimbo prende confidenza con il cibo, potete offrirgli consistenze diverse, quindi ad esempio piccoli pezzetti di mela, verdure ben cotte non più frullate ma a piccoli pezzi, qualche pezzettino di prosciutto cotto senza polifosfati, crocchette di legumi… Qualcuno potrebbe controbattere dicendo che non tutti hanno tempo per poter preparare la pappa in casa, e che ricorrere all’omogeneizzato è sia questione di praticità che di sicurezza, soprattutto ad esempio nel caso del pesce, per il timore delle lische. Beh innanzitutto il tempo è relativo, è solo questione di organizzazione, la pappa può essere tranquillamente preparata nel giorno libero (il sabato o la domenica) che almeno una volta a settimana tutti hanno, ed essere conservata in frigo in un contenitore di vetro con chiusura ermetica per 2 giorni, o essere congelata e poi scongelata all’occorrenza.
Quanto alla sicurezza, l’attenzione e la premura che mamma, papà o nonni hanno nei confronti dei propri piccoli fa da garante e non conosce eguali, e si manifesterà in maniera spontanea anche e soprattutto nel momento della preparazione della pappa. In tutti i casi, laddove proprio sia impossibile e si debba per forza di cose ricorrere ad un preparato industriale sempre meglio scegliere il liofilizzato piuttosto che l’omogeneizzato, essendo i primi superiori in qualità e lavorati in maniera più attenta e ad hoc per i neonati.
Queste appena descritte sono le indicazione generali e di buonsenso che si rifanno alle linee guida formulate dall’OMS per uno svezzamento sicuro e ottimale, che a mio parere rappresentano un’ottima mediazione tra l’approccio rigido e schematico del modello di svezzamento tradizionale proposto dai pediatri degli anni ’80-’90 e da alcuni ancora oggi, e quello più libero e autonomo dell’autosvezzamento.
Su quest’ultimo servirebbe magari un articolo a parte, ma in maniera molto sintetica e restrittiva vi basta sapere che si tratta di un approccio allo svezzamento libero, a scelta del bambino in base alla sua curiosità, che non prevede alcuno schema dietetico o pappa, ma al bambino viene da subito offerto quello che mangiano i genitori.
Il cibo può essere sminuzzato per favorire la masticazione, ma in tutti i casi vengono rispettati i tempi di crescita e di sviluppo individuali per cui lo svezzamento terminerà in maniera diversa da bambino a bambino. L’alimento principale continua ad essere il latte materno o artificiale, per questo l’autosvezzamento si definisce anche “alimentazione complementare a richiesta”.
Nel libro in inglese “Baby-led Weaning” di Gill Rapley e Tracey Murkett trovate un guida completa ed esaustiva per approcciarvi al metodo dell’autosvezzamento, sul quale sono stati condotti diversi studi che dimostrano la fattibilità dell’approccio nella maggioranza dei bambini. Da qui hanno preso spunto anche numerosi autori e pediatri italiani che nell’approfondire l’argomento hanno scorso i vantaggi dell’approccio tanto da schierarsi a favore di questo innovativo quanto efficace metodo. Per qualche lettura in italiano vi consiglio Io mi svezzo da solo del dott. Luigi Piermarini che trovate qui.
Da queste letture scoprirete che l’autosvezzamento ha di sicuro numerosi vantaggi; tuttavia è e resterà comunque un approccio non alla portata di tutti, in quanto richiede una dose extra di pazienza per i genitori, sia perché bisogna essere fermi e pronti ad accettare di ritrovarsi (specie nei primi tempi) a fine pasto con tanto sporco ovunque, e con un bambino che ha mangiato poco e niente e che continuerà comunque a richiedere il vostro latte; da sola la pazienza comunque non basterà, ci vorrà anche tanta calma, sangue freddo, più tempo e una buona collaborazione da parte dell’intera famiglia… mi rendo conto che per molti è chiedere l’impossibile, ecco quindi che le indicazioni che in questo articolo ho cercato di riassumere e mettere insieme per voi rappresentano il giusto compromesso, in quanto mediano tra la necessità di incentivare l’autostima del vostro bambino da un lato e dall’altro il bisogno di preservare la tranquillità e serenità mentale di voi genitori.
In sostanza non esiste una linea comune a tutti e universalmente accettata, tuttavia tra i due estremi la soluzione “migliore” è forse proprio nel mezzo. “… che sia il bambino stesso protagonista di questa fase del proprio sviluppo. Che sia lui a chiedere di provare cibi diversi, quali essi siano…” Luigi Piermarini (1993)
Dott.ssa Angela Pugliese, biologa nutrizionista