Dio esiste e vive a Bruxelles. Si parte da questa verità “apocrifa” per descrivere il nuovo lavoro di Jaco Van Dormael. Se l’intero genere umano si svegliasse un giorno qualsiasi e leggesse sul display del proprio telefonino la data certa della propria morte, quali sarebbero le conseguenze? Regnerebbe l’anarchia o ciascuno metterebbe a posto i suoi affari terreni prima di raggiungere mete edeniche o infernali? E le guerre esisterebbero ancora? Musulmani e Cristiani continuerebbero a scontrarsi in nuove insensate crociate in nome di una qualche potenza celeste? E i grandi capi di stato imporrebbero ancora scioccamente la loro volontà di assoggettamento per tentare di ripristinare l’ordine pubblico? E gli uomini – clochard, disadattati, outsider metropolitani, misantropi annoiati dalla vita, artisti in erba, ninfomani compulsivi – cosa sarebbero disposti a fare pur di ripristinare l’armonia cosmica violata? Secondo Dio esiste e vive a Bruxelles di Jaco Van Dormael, soprattutto loro, la gente comune, scenderebbe a patti, unita, alleandosi con Ea, una misteriosa bambina che li spinge, dopo aver ascoltato le loro storie e la loro “musica” interiore, a scrivere un nuovo, esilarante Vangelo. Ea ha tutte le ragioni del mondo per intervenire a favore dell’umanità dolente, perché è la figlia secondogenita di Dio, un individuo bieco e irascibile che la tiene segregata in casa a Bruxelles mentre inventa mille modi per annegare la sua più geniale creazione – il genere umano – in dolori e angosce assortite.
L’inventiva e la creatività misticheggiante di Jaco Van Dormael e del co-sceneggiatore Thomas Gunzig sono al servizio di una favola surreale che incrocia l’onirismo magico del “favoloso mondo di Amélie” con i mondi immaginari di Michel Gondry, nonostante la satira corrosiva sia investita da cinismo e caustico humour. Tra gag esilaranti e momenti di pura poesia il cineasta belga reinventa, tra sacro (sbeffeggiato) e profano, un mondo in cui Dio cerca in tutti i modi di far soffrire le creature terrene. Benoît Poelvoorde, a suo agio nei panni del crudele demiurgo che terrorizza l’incauta figlia (Pili Groyne) e la mansueta moglie (Yolande Moreau), fa di tutto per far risaltare il carattere cialtronesco e debosciato del suo “Dio”, un novello Lebowski a cui manca però il candore nichilista da reietto della società. Dio è malvagio, ma per fortuna la sua prole prova a contrastare il suo volere in ogni modo: il figlio Gesù finisce crocifisso ma rivive nella statuetta celebrativa tenuta in casa dal padre eterno e aiuta, animandosi a comando, la piccola Ea a consumare la propria vendetta. In Dio esiste e vive a Bruxelles si ride, si piange e si riflette. Giocando sul riuscito accumulo di sequenze ad hoc che segue il principio delle “associazioni di immagini e idee”, Jaco Van Dormael inventa una struttura narrativa a incastro miracolosamente in bilico tra risata crudele e lirismo etereo. Muovendosi sul binario della commedia degli equivoci ben scandita da leitmotiv classici – dalle arie di Hendel ai motivi musicali della fiamminga An Pierlé – la riscrittura evangelica seduce con i suoi prodigi visivi e le sue invenzioni, tra Magritte e Méliès, pur senza rinunciare a una comicità slapstick irriverente e caricaturale.
Sembra quasi di assistere a un film in cui Álex de la Iglesia sposa la crudeltà immaginifica del duo Jean-Pierre Jeunet-Marc de Caro di “Delicatessen”, ma a ricordarci che siamo in territorio cinematografico belga c’è la Yolande Moreau di “Louise-Michel”, moglie rassegnata e dimessa del forsennato Dio. Spetta invece alla diva Catherine Deneuve la parte più demenziale in cui, divertita e appassionata, si improvvisa amante di un vero gorilla. Mantenendo la solita voce off a commento della vicenda narrata e sfruttando il punto di vista ingenuo e disincantato di una bambina “divina”, Van Dormael prosegue la sua personale poetica del “fanciullino” iniziata con “Toto le héros” reimpastando in una materia narrativa vulcanica e spumeggiante i temi a lui più cari: il surreale che va a braccetto col “realismo magico”, l’infantilismo represso che anima ogni suo personaggio, l’ironia tagliente, i microcosmi immaginifici e le invenzioni scenografiche fantasiose. Tutto questo è Dio esiste e vive a Bruxelles, presentato al Festival di Cannes e visto in anteprima italiana al Trieste Science + Fiction 2015. Ma entriamo nel cuore della trama del film: Fin dall’inizio dei tempi Dio è rintanato nella sua isolata dimora a Bruxelles e se la spassa con il computer di casa con cui si diverte a rimescolare le vite delle sue creature umane. Le investe con cattiveria di drammi e tragedie, soprusi e dolori assortiti, finché la figlia piccola Ea, stufa delle sue continue vessazioni, decide di intralciare i suoi piani inviando a tutti gli abitanti della terra un sms in cui li informa della data della propria morte. Sarà il panico. Aiutata da un misantropo ornitofilo, un represso sessuale, un clochard scribacchino, una donna alle prese con un matrimonio fallito, una bellissima ragazza senza un braccio e un aspirante killer, Ea si cimenta nella scrittura di un nuovo Vangelo che cambierà per sempre le sorti dell’umanità.