Prendete un regista, uno di quelli “strani”, abituato a realizzare film crudi e allucinanti, sempre in bilico tra l’angosciante realtà e il volo onirico del subconscio. Pensate poi a una band, non a una qualsiasi, ma al fenomeno del pop e del new romantic anni Ottanta, al gruppo che più di tutti ha saputo rivoluzionare la musica degli ultimi trenta anni. Unite le loro anime, miscelate la loro arte e i diversi respiri del gioco creativo, e otterrete un capolavoro di suoni e di immagini mai visto fino ad oggi. Tutto questo è “Duran Duran Unstaged”, ultima follia partorita dal regista David Lynch per scalfire sulla roccia del tempo l’impronta della band di Simon Le Bon. Un incontro vincente tra due mondi apparentemente distanti e che ha prodotto un docu-film spettacolare, suggestivo, emozionate.
Forse parlare di documentario o, semplicemente, di film-concerto, è alquanto riduttivo. Non esiste un termine appropriato che possa descrivere e rendere giustizia a tale esperienza multimediale che il genio di Lynch e il talento dei Duran Duran ci hanno voluto donare. Una fusione artistica cominciata il 23 marzo 2011, nello splendido Mayan Theater di Los Angeles, durante un concerto della band inglese. Sul palco Simon Le Bon, Roger Taylor, Nick Rhodes e John Taylor, gli stessi che, a partire dal 1979, hanno fatto innamorare milioni di ragazze e scatenare diverse generazioni di fan in tutto il mondo, sfornando album di successo e hits tra romanticismo e ritmo sfrenato. Lynch ha ripreso ogni singolo istante della loro performance californiana, per poi rielaborare a modo suo, seguendo il proprio istinto e il proprio gusto, immagini e colori. Rispettando pienamente la natura del live dei Duran Duran, senza cambiare di una virgola la scaletta dei brani ed evitando di censurare o spezzare i frequenti dialoghi tra i musicisti e il pubblico, il regista ha dato il giusto tocco da maestro alla pellicola, inserendo figure, personaggi, oggetti, chiaroscuri, sfumature ed effetti speciali. Munito di due telecamere, Lynch ha preso possesso del momento e l’ha fatto diventare unico, irripetibile. Ha ripreso il concerto e poi ha girato scene con attori veri in un’altra stanza, piena di fumo, sovrapponendo i due strati visivi in assoluta libertà. Una serie incredibile di animazioni e di sketches che vanno a sposare note e suoni di altrettanta bellezza e intensità, un montaggio che ha sorpreso anche gli stessi componenti della band.
Musica che feconda il cinema, il quale traduce melodie e parole in un sogno ad occhi aperti. Assistere a “Duran Duran Unstaged” significa bere l’essenza della produzione artistica della band mentre si divora la follia visionaria del suo regista. Non dimentichiamo, però, che la protagonista assoluta del film è signora musica, con le sue variazioni e il prato di profumi e sensazioni che suggerisce a chi l’ascolta. Le canzoni portate sul palco sono quelle dell’ultimo album dei Duran Duran, “All You Need Is Now”, ma anche le stesse che hanno decretato il successo mondiale della band, soprattutto negli anni Ottanta.
Simon canta alternando duetti con ospiti speciali: da Gerard Way dei My Chemical Romance a Beth Ditto dei Gossip, da Kelis e Mark Ronson, giovane musicista e produttore del disco. Pop e new wave giocano e dettano legge al Mayan Theatre. Il pubblico si diverte, si scatena, urla di gioia e canta insieme a Le Bon e compagni.
Si parte con la titletrack del disco, per poi emozionarsi con “Being Followed”, “Planet Earth” (in coppia con un elegantissimo Gerard Way) e “Friend of mine”. Ed ecco Beth Ditto, sorridente anche se un po’ emozionata, a dare la carica sulle note di “Notorious”, uno dei maggiori successi dei Duran Duran. Dopo “Blame the Machines” e “Hungry like the wolf”, arriva la splendida “Safe (In the heart of the moment”), scritta insieme a Ronson, sul palco a suonare la chitarra. Archi e violini creano un’atmosfera fatata, introducendo la meravigliosa “Leave a light on”, lasciando tutto e tutti in sospeso, come se il tempo si fosse fermato, per poi svegliarsi all’improvviso, dopo uno schiocco di dita, con la sempreverde “Ordinary World”. Kelis, più bella e sensuale che mai, dona un pizzico di mistero e di magia a “The man who stole a Leopard”, mentre Simon Le Bon racconta divertenti aneddoti sulla nascita del brano successivo, “Girl Panic!”. La carrellata di brani è ricca di piacevoli sorprese e di gustose chicche ripescate dal passato, tra queste “Rio”, così come non possono mancare le più recenti perle dei Duran Duran, come “(Rich up for the) Sunrise”, sulle cui note è impossibile restare fermi. Finale da brividi con tanto di folla in delirio: uno dopo l’altra, la band piazza “Come undone”, “A view to a kill” e “Girls on a film”, dimostrando, come se ce ne fosse bisogno, di essere ancora una delle realtà musicali più importanti e influenti della musica pop e new wave, capace di sperimentare suoni diversi e di lasciare ampi spazi all’immaginazione, alla creatività, alla voglia di esplorare nuovi mondi, abbracciando con coraggio tutto ciò che l’arte può suggerire.
Il trailer: http://youtu.be/np5tBAx4Ag4
Silvia Marchetti