E’ raggiante Sydney Sibilia, il più giovane tra i registi italiani invitati al London Film Festival quest’anno per presentare il suo film Smetto Quando Voglio. Londra è l’ultima tappa di un tour promozionale in giro per l’Italia e all’estero durato diversi mesi. Nella divertente intervista, rilasciata in esclusiva a Cultura & Culture, tutto pimpante ci ha raccontato come ha vissuto il successo del suo primo film, regalandoci qualche chicca sul rapporto con i ricercatori che lo hanno eletto un po’ frettolosamente “simbolo di una generazione precaria”. Sibilia ha poi giurato sull’originalità di Zio Gianni, la nuova sit-com dei The Pills con protagonista Paolo Calabresi, che andrà in onda su Rai 2 a partire da novembre. Interrogato sui film dell’anno, il regista salernitano ha difeso a spada tratta Lucy di Luc Besson, che ha recensito per noi. Ha infine clamorosamente smentito che gli eremi possano essere fonte di concentrazione o ispirazione ma ha ammesso di pensare seriamente al sequel di Smetto Quando Voglio.
Come ti senti qui al London Film Festival dopo tutti gli inviti ricevuti da alcuni dei più prestigiosi festival internazionali?
E’ tutto fichissimo. Non mi sarei mai aspettato l’attenzione internazionale. Pensavo di aver fatto un film per l’Italia, magari neanche tutta. Ho girato Smetto Quando Voglio con lo spirito di una cazzata ed è una grande soddisfazione, forse una delle più grandi, vedere quanto il film piaccia all’estero. L’internazionalizzazione mi ha fatto molto riflettere sui sistemi della comicità.
Spesso si riflette sulla provincialità di un certo cinema italiano. Trovo che invece questa sia la location perfetta per un film fresco come il tuo.
Proprio perché il film usa i riferimenti internazionali in un’accezione parodistica l’avevo classificato come para-americano. A me faceva ridere durante la genesi l’idea di un film americano de’ Noantri. Poi Smetto quando voglio è un film un po’ magico per delle alchimie che si sono create che vanno ben oltre i miei meriti. Il successo è stato sorprendente in primis per noi che lo concepivamo.
Il film è ritornato in sala tra fine agosto e inizio settembre.
E’ stato bellissimo vedere come fossero proprio gli esercenti a richiederci nelle sale, al di là di tutte le logiche distributive.
Hai detto di essere stato impressionato dalle reazioni dei ricercatori che ti hanno etichettato come simbolo della generazione precaria.
Sì, una cosa assurda! Mi è venuta l’ansia. I ricercatori sono proprio andati in fissa. Anzi gli faccio un appello: “Ragazzi non mi scrivete più, tanto io non ci posso fare niente!”. All’inizio mi cercavano di più quelli di archeologia che mi raccontavano i loro problemi. Pensa che una volta sono andato in una trasmissione radio e si sono intasati i centralini perché volevano parlare con me. Oltre che confessarli come un prete io purtroppo non posso fare niente per loro. Con il mio film volevo fare prima di tutto intrattenimento e non porre un accento così serioso sulla cosa. Mi interessava raccontare il paradosso di persone così intelligenti e preparate costrette a vivere ai margini. Adesso nelle interviste mi definiscono addirittura “l’opinion leader di una generazione precaria”. Ma chi, io?
Però anche tu sei stato un precario.
Certo. Io sono ancora oggi un precario dello spettacolo e credo che dal film si evinca la sincerità del mio racconto. Chi fa i film di solito è molto ricco e gli viene difficile raccontare la povertà. C’è stato un particolare momento in cui il cinema è diventato molto borghese e si sforzava di raccontare qualcosa di distante. Noi eravamo già poveri e non abbiamo avuto problemi a raccontarci.
Qui a Londra facevi i panini in un fast food.
Ma sì! Ieri sono andato lì a mangiare per nostalgia. Era un’estate di undici fa e feci un’esperienza di tre mesi. Volevo fare cinema ma sapevo quant’era difficile e quindi ho pensato di venire a Londra. Mi svegliavo alle 5 di mattina. Fare i panini non era molto entusiasmante. Alla cassa ero già più contento.
Londra poi da un punto di vista cinematografico ha un ruolo centrale in Europa.
E’ normale che quando una città diventa un polo culturale il cinema ne giovi. Londra è pazzesca. In questo momento le cose più interessanti vengono proprio da qui. Parlo di serie come Sherlock, Utopia o Black Mirror che hanno il grande pregio di non essere americane. In queste serie intravedi una genialità ma anche tanti difetti mentre Hollywood alla lunga tende ad appiattire e a standardizzare.
Parlando di comicità, sei più esterofilo o ami la commedia italiana contemporanea?
Io sono una via di mezzo. Smetto quando voglio si inserisce nella tipica tradizione della commedia all’italiana. Non solo quella degli anni Sessanta ma anche quella che mi divertiva da piccolo negli anni Ottanta e Novanta. Poi ci sono dei chiari riferimenti a quella americana. Mentre negli USA fanno dei film in cui succede di tutto, noi siamo abituati alla commedia da camera di due che parlano. Io credo che sia necessaria una fusione perché altrimenti rischiamo di essere troppo statici. Per questo ho inserito un po’ di azione nel mio film ma è stato tutto molto istintivo. Poi devo dire che è stato facile prendermi dei rischi visto che non ero ancora nessuno.
Cosa ti aspetti da questa stagione cinematografica? Che film stai aspettando?
Questo è un gioco che faccio ogni tanto con i miei amici. I film che aspettavo di più erano Il Pianeta delle Scimmie, di cui sono appassionato, e Lucy. Quest’ultimo in particolare lo rivendico perché è un film “bravo”. Un film che è costato 40milioni e ne ha incassati dieci volte tanto. E’ fatto da un regista di una certa età che vorrebbe anche dire delle cose importanti e quindi per non annoiare le alterna alle scene d’azione. Ora aspetto I Guardiani della Galassia, il nuovo film di Garrone e tutti quelli che hanno appeal perché il film deve essere un evento per attirare l’attenzione del pubblico.
Però noi italiani non siamo così bravi a creare l’evento…
No, infatti! Prima si viveva in un’epoca di vacche grasse e si tendeva anche a sprecare i soldi. Io invece sono figlio di un’epoca in cui “non ci sono soldi, il momento è delicato” o “non è questo il film”. Noi non avevamo soldi e quindi abbiamo provato a creare una piccola campagna attraverso il web. Poi mi è venuto in mente Nymphomaniac ma devo dire che mentre scattavamo le foto con gli attori, la Rai non era proprio convinta. Così abbiamo raggiunto l’accordo di usarle solo in caso di successo del film nel primo weekend di uscita. Credo però che siamo importanti anche i promo in televisione perché c’è un’Italia che è ancora legata agli old media ed è proprio quella fetta di pubblico, in genere gli anziani, che va molto al cinema. Noi siamo arrivati a loro con il passaparola ma niente in confronto alla soddisfazione della pubblicità allo stadio.
Tra poco meno di un mese l’esordio sul piccolo schermo di Zio Gianni, ce ne parli?
Volentieri. Io ho fatto solamente quattro puntate però sono molto contento. E’ una figata. L’hanno scritto i Pills e il grosso l’hanno fatto loro. Ho amato il loro spirito indie e deambulavo sul set come una sorta di show runner dei poveri. Mentre giravamo, avevo l’ansia ma poi vedendolo devo dire che Paolo Calabresi è un vero gigante e senza di lui la serie non sarebbe stata possibile. Fa veramente ridere e, anche se può non piacere, bisogna riconoscergli una certa originalità. Devo dare anche il merito a Rai Fiction che ci ha dato la massima libertà. Abbiamo cercato di non esagerare e alla fine ne è venuta fuori una satira graffiante e senza censure. Non so come la prenderanno in Italia ma tu metti su Rai 2, sono sicuro che ti divertirai!
Con i mesi ti è passata l’ansia per il secondo film?
No! Ho una super ansia. Dalla prossima settimana chiudo con i tour promozionali e mi comincio a concentrare sulla scrittura. In realtà io sono già stato una settimana su un eremo con il mio amico sceneggiatore Valerio perché a Roma il telefono squilla in continuazione. In realtà siamo tornati con le idee più confuse di prima quindi gli eremi sono una cazzata. Ve li sconsiglio! Non abbiamo fatto niente e ci siamo visti tutte le partite del mondo.
Ma ci sono delle idee?
Sì, ci sono diverse strade. Una di quelle è il sequel di Smetto quando voglio di cui si è tanto parlato. Non vorrei che si trattasse di un’operazione commerciale perché generalmente fa scappare la gente.
Rosa Maiuccaro