Joe, trama e recensione del film con Nicolas Cage che esce al Cinema in Italia il 25 settembre
Presentato nel 2013 a Venezia, “Joe” di David Gordon Green, in uscita sui nostri schermi grazie a Movies Inspired a partire dal 25 settembre, è un esemplare thriller drammatico con Nicolas Cage, attore in cerca di riscatto e la giovane promessa Tye Sheridan, vincitore del premio Mastroianni alla 70esima edizione della mostra in laguna. Basato sull’omonimo romanzo di Larry Brown e girato quasi interamente tra Austin (Texas) e Los Angeles (California), il “crime drama” ha un protagonista molto “eastwoodiano”, destinato fin dall’inizio a divenire figura cristica, benché abbia molto in comune, quanto a temperamento incontinente, con antieroi muscolari e granitici come gli svariati giustizieri della notte che affollano le produzioni americane. Joe (Nicolas Cage), pistolero dal grilletto facile e dal cuore grande, ha una piccola impresa che si occupa di “uccidere” gli alberi con un intruglio maleodorante sparso prima che i boscaioli possano abbatterli. Sguardo fiero e torvo, fisico appesantito dagli eccessi alcolici, assuefazione patologica da nicotina, passione per belle meretrici di periferia e carattere iracondo. Un “cattivo tenente” con un solo grande pregio: non sopporta angherie e soprusi sui deboli o sui ragazzini. Così, quando Gary Jones (Tye Sheridan), quindicenne con famiglia disfunzionale e mille sogni nel cassetto incrocia la sua strada, o meglio, il suo sentiero boschivo per chiedergli un lavoro, Joe non può rifiutare la proposta e lo presenta alla squadra. Gary, padre alcolista e violento, madre in fin di vita e sorella chiusa nel suo mutismo, è costretto a diventare adulto troppo presto e a lasciare per strada la sua innocenza violata.
Rincorrendo il suo personale “american dream”, l’instancabile ragazzino, entrato ormai nelle grazie del giustiziere cuore d’oro Joe, si troverà a disconoscere il padre psicotico e sarà coinvolto in affari di sangue molto più grandi di lui. Dopo lo sfolgorante esordio con “George Washington” nel 2000, David Gordon Green, attualmente in concorso a Venezia con “Manglehorn”, dramma edulcorato con Al Pacino, fabbro animalista incattivito col mondo, continua a raccontare storie di provincia nella sua America delle fabbriche, dell’hinterland in disfacimento occupato dalla classe operaia, delle generazioni che devono lottare a pugni chiusi per garantirsi un futuro. Le casupole dismesse, gli empori scalcinati e la foresta avvolgente sono metafora del percorso labirintico e irto di ostacoli che deve affrontare Gary, giovane dal contegno nobile e dignitoso, sempre spavaldo e con saldi principi etici. Per quanto attiene all’analisi filmica in senso stretto, vale lo stesso discorso fatto per “Mud” di Jeff Nichols, altro cineasta di Little Rock (Arkansas) sempre in bilico fra opera commerciale e sperimentazione.
Al netto di facilonerie melò o del coté strappalacrime, i due film corrono in parallelo, non solamente perché sono due romanzi di formazione come nella migliore tradizione americana (rivisitata ultimamente in chiave intimista dal nostro Roberto Minervini in “Stop the pounding heart”), quanto perché hanno una struttura narrativa similare e aderiscono alle medesime scelte estetiche: trame lineari che pongono lo spettatore al centro del racconto senza interferenze temporali; atto d’accusa all’America frontaliera stemperato dalle seconde opportunità concesse ai protagonisti; incipit in medias res che permette, complice il ritmo cadenzato, di entrare in modo immediato nella storia; antieroi che non mostrano davvero la loro selvatichezza; mescolanza di generi diversi, dal dramma esistenziale al thriller poliziesco. Insomma, Green e Nichols, insieme a Scott Cooper (“Crazy Heart”, “Il Fuoco della vendetta”) rappresentano gli eredi dei grandi cineasti che amavano i volti rudi, i cattivi mai davvero cattivi, gli eroi gratificanti senza tempo e gli ampi spazi rurali del riscatto e della terra promessa.
Trailer di Joe (internazionale): http://youtu.be/IT-rEF6RIPA
Vincenzo Palermo