Luca Barbareschi a teatro con Cercando segnali d’amore nell’universo, diretto da Chiara Noschese. Lo spettacolo, che è in scena al Teatro Manzoni di Milano fino all’8 marzo 2015, proseguirà la tournée fino ad aprile 2015 toccando tra le varie città Catania (dal 12 al 15 marzo), Genova (dal 31 marzo al 2 aprile) e Roma (dal 9 al 19 aprile). La recensione.
Portare la propria vita in scena si può, “giocandoci” e avvicinandola a tratti ed emozioni che ogni spettatore può aver vissuto: questo è Cercando segnali d’amore nell’universo, un one man show con Luca Barbareschi e l’accompagnamento musicale di Marco Zurzolo 5tet. Il rischio di un’operazione simile poteva avere come risultato un’autocelebrazione o restituire la sensazione che fosse fine a se stessa, se il nostro protagonista/traghettatore ci fosse stato talmente dentro nella storia della propria vita da esservi risucchiato mantenendo così a distanza lo spettatore. La collaborazione con la regista, Chiara Noschese, ma anche il suo carattere, hanno permesso all’artista di creare un viaggio nei meandri della sua esistenza privata e professionale prendendo il pubblico per mano, sfiorando corde intime grazie anche al tappeto musicale e, in particolare, all’altalena costituita dai cambi di registro che fa anche (sor)ridere. Immaginiamo che si sia un po’ optato per un taglio romanzato, anche solo per alcuni modi di raccontare degli episodi o per gli incastri tratti dall’“Enrico V”, dal “Riccardo III” o da “Il Gattopardo”; allo stesso tempo, però, traspare tutta l’onestà d’intenti e la messa in discussione con cui Barbareschi c’è e affronta il suo palco preferito. Assistendo a Cercando segnali d’amore nell’universo si ha proprio la percezione che il palco della vita abbia deciso di abitare quello dell’arte e, in un continuo intreccio, l’attore sceglie di tornare in teatro, quel luogo che tanto gli dà sicurezza e lo fa sentire a suo agio.
Con ironia – sempre affettuosa – ci mette a parte della sua famiglia sin dalla circostanza in cui tutto cominciò: quando era un fagiolino nella pancia di sua madre e i suoi partivano per il Sud America e sulla stessa nave viaggiava la Compagnia dei Giovani (un tour organizzato dal famoso produttore Lucio Ardenzi). Quando Barbareschi ci narra di suo padre che soffriva di apnee notturne è come se ne riproducesse quel respiro rincorrendo la sua verbosità; e poi c’è sua madre, che lo ha allevato – fino a un certo punto – a libri (come “Cent’anni di solitudine” di Gabriel García Márquez), vivendo in un mondo tutto suo. Molto ben riuscito e toccante è il passaggio in cui affronta con delicatezza – e senza infierire né su chi compì quell’atto, né su chi lo ascolta – il punto degli abusi sessuali subiti dai nove ai tredici anni mentre frequentava un prestigioso istituto gesuita di Milano. Non rincorre il pietismo né il giudizio di “valore” sterile, lo racconta con un tono che oscilla tra la lucidità di chi guarda a posteriori ad allora e gli occhi di quel ragazzino che in quegli stati non capiva perché stesse accadendo ciò ad opera di un uomo di cui si fidava. Due anni fa Luca Barbareschi aveva redatto una biografia che doveva essere pubblicata da un noto editore, poi però, decise di ritirarla. A conti fatti, durante e post-visione, ci viene naturale pensare che un uomo-artista così abbia fatto bene a optare per una biografia in diretta, non su carta, ma su corpo, voce e linee immaginarie tra presente e passato, tra la sua anima e quella degli spettatori cercando segnali d’amore nell’universo. Proprio perché lui ha scelto di non mettere nero su bianco aneddoti e fatti della sua vita, noi non vogliamo sostituirci, ha senso scoprirli e condividerli nell’atto teatrale. Gli va riconosciuto di essersi fidato dell’occhio critico della Noschese e di essersi buttato in un’impresa teatrale energetica, in cui il flusso emotivo – pensiamo in primis per lui- è tanto perché scava nel suo personale, indora la pillola su alcuni aspetti con la leggerezza, ma senza venir meno alle responsabilità o all’ammettere – sottilmente – di aver sbagliato in certi momenti. Non è semplice, a quasi sessant’anni reggere due ore di spettacolo di fila ma Luca Barbareschi ci riesce, rendendo omaggio ai suoi quarant’anni di carriera, a chi lo segue e a quelle tavole che tanto ama. In linea con la sua comicità in levare, la traccia musicale s’insinua e si fa spesso co-protagonista. Ora il complesso lo accompagna nei suoi ricordi, ora Luca “duetta” con loro al pianoforte e alla chitarra tra brani di Mozart, Bill Evans, James Taylor e Fabio Concato, e, tassello dopo tassello, percipiamo come la musica sia la struttura portante nello spettacolo così come nella sua vita. Non poteva mancare «colei che gli ha salvato la vita» e si fa custodia simbolica da aprire e chiudere in una scena minimalista, ma ben pensata. …nel turbinio di emozioni, esprime la sua sincera com-mozione nel tornare a Milano e sul palco del Manzoni. «Questo spettacolo è dedicato a chi sa guardare oltre le apparenze e negli occhi sconfinati dei cieli notturni, a chi conosce le storie antiche e sa che le attese sono lunghe, a chi ha voglia di festeggiare e cimentarsi nello strano gioco della vita dove tutti prima o poi ci troviamo a recitare», dice Luca Barbareschi.
Maria Lucia Tangorra
Milano, Teatro Manzoni
Cercando segnali d’amore nell’universo
Regia di Chiara Noschese
Con Luca Barbareschi e Marco Zurzolo 5tet
Marco Zurzolo al sax
Piero De Asmundis al pianoforte
Antonio Murro alla chitarra e voce
Beatrice Valente al contrabasso e voce
Gianluca Brugnano alla batteria
Produzione Casanova Multimedia, musiche e arrangiamenti Marco Zurzolo
Direttore di scena Diego Caccavallo, luci Gianchi
Si ringrazia l’ufficio stampa del Teatro Manzoni, nella persona di Rita Cicero