Non essere cattivo, recensione
Claudio Caligari, stroncato dopo una lunga malattia a fine riprese, fa aggredire il nero dell’esistenza ai suoi “ragazzi di vita”. Non c’è espressione più brutale per descrivere l’ascesa illusoria e la caduta repentina dei due combattenti – Cesare e Vittorio – tra gli “amori tossici” e il degrado di una Ostia “a mano armata”. Mentre le immagini di Non essere cattivo, della cui genesi produttiva (postuma) si è incaricato Valerio Mastandrea, scorrono come un fiume in piena, quel mondo borgataro di calcinacci, polvere, fango e sudore, ruderi e canne di pistole, coca e cornetti (quello che mangia Vittorio nella prima sequenza e che omaggia, a distanza di trentadue anni, Amore tossico) ci viene sbattuto in faccia senza troppi complimenti, con forza bruta. Il cineasta di Arona chiude però nel pugno tante carezze che sfumano i confini netti tra bene e male nella zona d’ombra del sottoproletariato urbano a cui appartengono i nostri. Un microcosmo a suo modo gentile, anche se dai modi irruenti, dove qualche speranza di riscatto si annida ancora tra una crepa nel muro e una ferita nell’anima. I “nostri” amano dare nomignoli e sanno imprecare bene mentre cercano di sfuggire “da tutta ‘sta merda”, come ripete a gran voce uno dei due. Anche Riccetto e gli altri ragazzi del poeta della modernità in Ragazzi di vita facevano cose del genere, come rapinare passanti per strada e salvare, rischiando la pelle, una rondine precipitata nel Tevere. Non c’è confine netto che separa il bello dal brutto e il bene dal male; infatti per Cesare e Viviana, quella casa di cui si intravedono le fondamenta e tutta traballante, è bella, tremendamente bella, perché rappresenta il sogno – l’utopia – di una vita insieme lontano dall’odore nauseante del piombo e del sangue. Ma prima di tutto questo c’è solo tenebra, o meglio, quella wilderness comune a tutto l’hinterland romano che sembra un inferno scoppiettante tra le cui fucine demoniache si annidano spacciatori, truffatori, strafatti e strafumati. Un mondo che lentamente affonda e dal quale è quasi impossibile uscirne illesi, senza cicatrici. Applaudito ed elogiato durante la proiezione veneziana in anteprima Non essere cattivo è più che un testamento – un lascito per i posteri – da parte di un regista che, da outsider convinto della scena cinematografica nostrana, ha preferito nascondersi dai riflettori, ma è stato anche colpevolmente marginalizzato. Sta quindi un po’ stretto questo tentativo ultimo di riabilitazione a pochi mesi dalla morte. Ma noi estimatori del suo cinema “più vero del vero”, nonostante quell’aria a tratti allucinogena che si respira, lo prendiamo come un seppur misero risarcimento. Postumo purtroppo. Certo è che il “vero” caligariano, che non ha nulla a che vedere con la poetica del nostro Giacomo Leopardi e che non ha quindi nulla di filosofico, è un realismo sfrontato che a tratti diventa iperreale, nella misura in cui gli squarci onirici vissuti dai protagonisti contagiano l’atmosfera irrespirabile dei bassifondi di Ostia, soleggiata e spoglia come un deserto. Purtroppo non è un sogno, né un incubo, ma un segno (cinematografico) indelebile che coglie, nella loro significativa immediatezza, i prodromi della crisi morale del tempo. Tutto si gioca su un terreno (molto pasoliniano, anche e soprattutto nella scelta degli interpreti) impervio e senza appigli, in un 1995 italiano che potrebbe benissimo essere il 1980 della stessa Ostia raccontata in Amore tossico o l’Italia del dopoguerra di Pasolini. La regia è convulsa e corre come sul filo del rasoio, incasellando sequenze schizofreniche che danno al film un ritmo battente. Le storie di Cesare e Vittorio – a cui prestano azioni violente, cuore e anima due giganteschi attori come Luca Marinelli e Alessandro Borghi – parlano di purezza e sudiciume, di riscatto intervallato a discese continue e inarrestabili. Qualcuno ce la fa, qualcun altro, invece, continuerà a scendere senza curarsi più di nulla, ma rimanendo sempre un guerriero in un mondo sbagliato. Alla fine Non essere cattivo è, più che un monito, la “dichiarazione d’amore”, come ebbe a dire Contini riferendosi al sentimento provato da Pasolini per i suoi “ragazzi di vita”, di Claudio Caligari per i suoi borgatari. Per loro prova misericordia e pietà e attraverso l’immagine dolcissima dell’orsetto regalato da Cesare alla nipotina in fin di vita, ci regala il sogno infranto di un mondo meno cupo e più a misura di essere umano. Voto: [usr 5]
Non essere cattivo, trama
Nella periferia della Ostia del 1995 si intrecciano le disavventure di Cesare, ragazzo difficile dedito a furti, droga e amori veloci consumati per strada e Vittorio, amico fraterno che non disdegna serate di bisboccia, nottate di spaccio e retate a caccia di ragazze. Stanco della vita di strada, Vittorio cerca un lavoro stabile dopo aver incontrato l’amorevole Linda e tenta di coinvolgere anche Cesare che però continua con la sua losca attività di criminale di borgata. Incontratisi anni dopo, Cesare sembra cambiato, grazie al sogno d’amore con Viviana, ma il richiamo della malavita sarà più forte.
Non essere cattivo, trailer