Rapunzel, recensione dello spettacolo in scena al Teatro Brancaccio – Chissà se i fratelli Grimm, quando crearono la storia di Raperonzolo (Rapunzel) e la inserirono nella raccolta Fiabe (1812 – 1822), avrebbero mai immaginato che più di due secoli dopo la loro favola diventasse un cult cinematografico prima (2010) e teatrale poi. Da quel 18 dicembre 2014, giorno del debutto del musical al Teatro Brancaccio di Roma, e dopo due anni di un tour trionfale in tutta Italia, con una splendida Lorella Cuccarini nel ruolo di Madre Gothel, il cast di Rapunzel torna nella capitale, nel teatro che ha visto nascere questo successo incredibile, mai prima di allora rappresentato su un palcoscenico, almeno in forma di musical. Assistendo alla prima del 6 aprile, mi chiedo come abbia fatto questo spettacolo a conquistare grandi e, naturalmente, piccini. La storia, che ha avuto innumerevoli varianti nel corso dei secoli, è introdotta da un menestrello (Tiziano Caputo) che la racconta a un gruppo di bambini in scena. Un Re (Massimiliano Colonna), una Regina (Barbara Di Bartolo) in dolce attesa ma malata, la sua sorella cattiva Gothel (o solo sfortunata, emarginata) che conosce il potere dell’alchimia e del magico fiore di eterna giovinezza, cura di ogni male.
Uno scellerato patto tra Re Gilbert, disposto a tutto pur di guarire sua moglie, e Gothel fa sì che, una volta nata la splendida Rapunzel, questa venga affidata a lei. Al momento dell’affido, il patto viene rinnegato dal Re e Gothel fugge portando con sé la bimba, che da quel momento sarà la Regina Sperduta. Passano gli anni e Rapunzel, ormai diciottenne, ha vissuto sempre chiusa in una torre nel bosco, protetta da quella che crede essere sua madre, una madre iperprotettiva che la protegge dal mondo malvagio. In realtà, la ragazza coi suoi capelli magici, dallo stesso potere del fiore che guarì la sua vera mamma, è un’assicurazione sull’eterna giovinezza e sul narcisismo di Gothel. Qui i primi agganci alla realtà dei nostri giorni, all’ossessione nel sottrarsi allo scorrere del tempo, e all’eccessiva apprensione di tante madri moderne nei confronti dei figli, spesso sacrificati in “torri dorate” in nome di una sicurezza soffocante. Sarà, guarda il caso, un ragazzo di strada, il bello e simpatico Phil che ha appena rubato la corona della Principessa Sperduta, ad aiutare la giovane Rapunzel nel suo desiderio di scoprire il mondo fuori da quelle mura e a scoprire il significato di quelle lanterne lanciate in cielo ad ogni suo compleanno. Lo spettacolo, ritmato e ricco di effetti scenici suggestivi, tra cui il lancio delle lanterne dalla platea, un momento incantevole, ha i suoi punti di forza nelle scene coreografate dalla mano esperta di Rita Pivano, nella verve straordinaria di Lorella Cuccarini che rende amabile Madre Gothel riuscendo a farne un personaggio umanissimo con cui empatizzare, fuori da quell’impostazione rigida della Corte e per questo lontana, relegata al mondo delle fiabe. Lorella, nel suo personaggio, è una di noi. Seducente, goffa, ironica, così attaccata alla vita salvo accorgersi, come la storia impone nel finale, che accettare la naturalezza delle cose, tra cui l’amore e la morte, è la cosa più saggia da fare. Assoluta padrona della scena.
Notevoli anche le prove di due grandi performer come Giulio Maria Corso nel ruolo di Phil il ladro e, naturalmente, Alessandra Ferrari in quello di Rapunzel, voci incantevoli e potenti che emozionano nella scena forse più bella dell’intero spettacolo, quando sulle note di Dove sarai, grazie alla scelta registica di Maurizio Colombi, l’uno dalla prigione e l’altra dalla torre, cantano sovrapponendosi il proprio sogno di libertà, durato un solo giorno insieme. Qualche nota stonata, purtroppo, c’è stata, degli inconvenienti tecnici che non hanno fatto partire dei cartoon durante dei cambi scena, creando quei bui che sono una sconfitta per qualsiasi regia. Incredibile, dopo tante repliche e a distanza di quella prima assoluta del 18 dicembre 2014 in cui si verificarono altri tipi di problemi che causarono addirittura la breve sospensione dello show. Misteri del teatro, dove tutto avviene in diretta e senza rete. Rapunzel rimane comunque un piccolo miracolo, una scommessa vinta dalla produzione di Alessandro Longobardi, direttore del Brancaccio, che va a sommarsi al trionfo di Sister Act. Un lavoro accuratissimo in ogni dettaglio, un cast di venti performer e un impianto scenico imponente, diretto dall’esperienza di Colombi, con musiche rock originali e accattivanti. Lasciarsi andare, e “guardare con gli occhi del cuore”, il consiglio per apprezzare in pieno questo spettacolo. C’è tempo fino al 24 aprile.